“Il limite della nostra professione è nei tanti ostacoli con cui ogni giorno dobbiamo fare i conti. Penso, innanzitutto, al quadro normativo sempre più complicato, con leggi che rischiano di trasformare il giornalista in un ‘sorvegliato speciale’ dello Stato. O ancora alle restrizioni sulla pubblicazione dei nomi contenuti nelle ordinanze di custodia cautelare, o alla riforma Cartabia, che con i suoi meccanismi di improcedibilità non solo offre all’imputato la possibilità di sfuggire alla giustizia, ma rischia di rendere inefficace il lavoro d’inchiesta”.
A lanciare l’allarme Sigfrido Ranucci, giornalista e conduttore del programma Report, a margine dell’incontro per la presentazione del suo libro “La Scelta”.
Appuntamento promosso da Libera e Arci presso la sede della Camera di Commercio Irpinia Sannio per parlare del valore dell’informazione libera e indipendente, del diritto dei cittadini a essere informati correttamente e del ruolo cruciale della stampa nella tutela della democrazia.
Accanto a Ranucci, Adriana Guerriero di Arci, Elena Ciccarello, direttrice responsabile della rivista Lavialibera, punto di riferimento nel giornalismo investigativo e nelle inchieste su mafie e criminalità organizzata, Anna Iermano in rappresentanza della Camera di Commercio. A introdurre il dibattito Giovanni Colucci, direttore responsabile de Il Mattino, e a moderare Alessio Capone, redattore di Orticalab.
Sottolinea i problemi della stampa libera, Ranucci: “Rimane aperto – dice – il tema delle querele bavaglio, utilizzate come strumento di pressione sui giornalisti, soprattutto quelli locali, che spesso lavorano senza tutele e con compensi minimi, sottoposti a pressioni da parte di imprenditori, politici o ambienti criminali. A ciò si aggiunge il peso degli editori, non sempre disposti a difendere la libertà dei propri cronisti”.
C’è poi la questione della disinformazione.
“Oggi il 70% delle persone si informa sul web. Internet è un grande strumento di libertà, ma anche, per usare una metafora, una sorta di ‘bibliotecario ubriaco’: notizie vere e false vengono messe sullo stesso piano, spinte in alto dagli algoritmi non in base alla loro attendibilità, ma alla loro capacità di generare click”.
Per questo, afferma Ranucci, “il ruolo del giornalismo oggi deve essere soprattutto quello di illuminare le zone d’ombra, di fare chiarezza, di interpretare in pieno il ruolo di media, di mediatore tra la notizia e il pubblico, aiutando i cittadini a capire quali notizie contano davvero e quale impatto hanno sulla loro vita quotidiana.
Ranucci risponde ai cronisti su cosa sia cambiato a quarant’anni dalla morte di Giancarlo Siani “Oggi la mafia non spara più con la stessa frequenza ma delegittima. Prova a condizionare anche i giornalisti attraverso il potere. E chi prova a fare seriamente il proprio dovere è spesso lasciato solo. Ma i giornalisti sono gli anticorpi contro una società malata, loro possono individuare il male prima che si diffonda”.
Ancora: “Il giornalismo nazionale, legato ai grandi gruppi editoriali, non è immune da condizionamenti: gli interessi politici, economici e di lobby filtrano lo sguardo sui fatti. Siamo il Paese dove i giornalisti hanno raccolto più denunce da parte dei politici.
E sul racconto della guerra a Gaza
“I giornalisti che provano a fare il loro lavoro vengono uccisi. Ne sono morti a Gaza ben 242. I giornalisti spesso sono condizionati anche da gruppi editoriali che strizzano l’occhio a Israele. Su questo negli ultimi anni Israele ha investito molto. Report, ad esempio, ha subito attacchi e minacce quando, già nell’ottobre scorso, ha usato per la prima volta la parola ‘genocidio’ riferendosi a Israele. È stata costruita da Israele una strategia precisa per accusare di antisemitismo chiunque criticasse le sue politiche, eppure si tratta di fare il nostro lavoro: raccontare, denunciare, dare voce”.
“Negli ultimi mesi – racconta Ranucci – la libertà di Report è stata limitata: per la prima volta sono state tagliate quattro puntate. Eppure, il contratto di servizio RAI – finanziato anche con il canone che pagano i cittadini – prevede la valorizzazione del giornalismo d’inchiesta. Come si può parlare di valorizzazione, se si taglia la trasmissione che più di tutte incarna questa missione?”.
“Il Paese che vorrei – continua – è un Paese che non piega la schiena, che non si distrae, che non abdica alla difesa dei diritti umani. E invece negli ultimi anni siamo stati assenti, anestetizzati da una comunicazione che ci ha abituato perfino all’orrore della guerra.
Ecco allora che il giornalismo può avere un ruolo fondamentale: quello di dare voce a chi non ne ha, alle persone più fragili, ai territori dimenticati. Perché, come in una vecchia poesia indiana, le farfalle si posano indifferentemente sia sui fiori che sui cadaveri dei vinti: ecco, il compito del giornalismo è non dimenticare i vinti, i senza voce. È – conclude – dare attenzione a beni comuni come l’acqua pubblica, troppo spesso messa a rischio, e più in generale difendere ciò che appartiene a tutti. Questo è il senso profondo della nostra missione”.
Ranucci ricorda nel corso del confronto i suoi maestri ” giornalisti come Roberto Morrione, storico direttore di Rai News, il direttore che tutti vorrebbero avere perchè difende a spada tratta il lavoro dei colleghi o Milena Gabanelli. Ma devo tanto anche ai miei genitori. Mia madre era un’insegnante, aveva la passione di imparare tutto a memoria ed è una dote che mi ha trasmesso e che conservo ancora oggi, sono tra i pochi giornalisti a non usare mai il gobbo. Al tempo stesso, da lei ho ereditato l’amore per la narrazione. Era una donna timida e ogni sera mi raccomandava di non fare mai nomi nel corso della trasmissione, cosa un po’ difficile dato il mestiere che facevo. E’ quello che oggi chiedono ai giornalisti con il decreto bavaglio, tanto che lo avrebbero potuto chiamare decreto Maria Teresa. Mio padre, invece, mi ha trasmesso l’idea di impegno, di passione per il bene comune, gli ho mentito solo sul letto di morte, nel rassicurarlo che l’intervento che mi chiedevano di autorizzare lo avrebbe certamente salvato”.
Sottolinea come il desiderio di raccontare la mia storia nasce da un incontro avvenuto sul treno “Fu una passeggere salita sul mio stesso treno a donarmi un origami. Ascoltò le mie telefonate, quelle private e quelle legate al lavoro, legate ai servizi da mandare in onda. Mi disse che avevo bisogno di volare alto, che vedevo cose che altri non vedevano ma non ero programmato per camminare. Ho avuto l’impressione che avesse percepito la mia fragilità. Ho capito allora che non sarei stato credibile se non avessi parlato anche del mio privato”. Ribadisce come “Questo libro è un omaggio anche ai tanti personaggi che sembrano usciti da un romanzo ma che con le loro scelte hanno contribuito al mio successo di giornalista, dal vagabondo che mi ha aiutato a fare luce sull’inchiesta legata alla denuncia di armi chimiche in Iraq, quella stessa inchiesta che mi è valsa la chiamata a Report al tassista che mi ha consentito di recuperare i quadri di Tanzi”.
Bellissimo il racconto dei momenti chiave della sua carriera, a partire “dal ritrovamento del filmato dell’intervista al giudice Paolo Borsellino realizzata con due giornalisti francesi a 48 ore dalla morte di Falcone e mai andata in onda su Canal Plus in cui il magistrato, che non poteva certo essere accusato di essere una toga rossa, faceva il nome di Berlusconi come imprenditore con caratteristiche tali da potere essere attenzionato dalla mafia. Non era ancora sceso in politica e nessuno immaginava potesse farlo. Il servizio di Rai News 24 in cui si mandava in onda l’intervista e per la prima volta si accennava alla trattativa Stato Mafia fu censurato. Era la prima volta. Riuscimmo a mandare in onda stralci del filmato e ricordo che fui chiamato da Mussi dei Ds e Veltri, presidente della Commissione Antimafia. Poi il silenzio assoluto e l’accusa di Berlusconi di aver manipolato l’intervista. Quell’intervista ricomparve nella trasmissione Satyricon di Luttazzi e nell’intervista di Biagi a Benigni per poi essere ripresa da Santoro nel suo “Raggio Verde”. Santoro, Biagi. Luttazzi furono licenziati, io sono ancora qui. A salvarmi fu la scelta di consegnare l’originale del filmato alla figlia Fiammetta Borsellino, nella convinzione che potesse essere un ricordo prezioso del padre. Dimostrava come non ci fosse stata alcuna manipolazione”.
Fino all’inchiesta sul crack di 14 miliardi della Parmalat di Calisto Tanzi “Mi imbattei per caso in un tassista che mi raccontò di essere stato la guardia del corpo di Tanzi, Mi riferì come la famiglia avesse deciso di portare in Svizzera i quadri acquistati attraverso la mediazione di un elettricista che avrebbe dovuto, poi, venderli, Mi chiamò l’elettricista accusandomi di aver mandato a monte l’operazione. Mi ricordai dell’insegnamento di mio padre e scelsi di denunciare l’uomo nella speranza di recuperare la refurtiva, fui, poi, chiamato dal comandante di finanza che mi ringraziava perchè grazie alla trasmissione Report era stata ritrovata la refurtiva per un valore di cento milioni di euro. Naturalmente mi chiamò anche il tassista che voleva una percentuale”.
A lanciare un messaggio forte anche Elena Ciccarella che ricorda come Lavialibera abbia dedicato un numero speciale della rivista alle difficoltà con cui deve fare i conti il servizio pubblico “La Libera informazione vive oggi un momento difficile ma continua a rappresentare un diritto cruciale per i cittadini. Il diritto a essere informati deve essere difeso in tutti i modi. Di qui la sfida rappresentata dal giornalismo d’inchiesta che svolge un ruolo fondamentale nella salvaguardia delal democrazia”. E ricorda la lezione di Giancarlo Siani “Ecco perchè abbiamo voluto che quest’incontro si tenesse nel mese di settembre, a pochi giorni dall’anniversario della morte. Proprio per ricordarlo porteremo avanti un’iniziativa nel suo nome”. Un allarme sottolineato anche da Adriana Guerriero che si sofferma sui poteri forti che vorrebbero costringere al silenzio i giornalisti. Mentre Iermano sottolinea la piaga dell’usura con cui il commercio deve fare i conti sul territorio, di qui la necessità di una sinergia con le forze dell’ordine.