Conserva intatto il suo valore di monito al giornalismo del nostro tempo il volume “La vergogna delle città” di Lincoln Steffens, pubblicato per la prima volta in italiano nella traduzione del professore Raffaele Rauty, Derive approdi edizione. Un monito agli operatori dell’informazione perchè non smettano mai di essere sentinelle della democrazia, consapevoli della valenza etica di cui si carica la loro professione, nel rispetto della libertà e dell’autonomia da ogni forma potere. “La vergogna delle città” rappresenta il primo esempio di giornalismo d’inchiesta statunitense, capace di denunciare a inizio Novecento la corruzione che caratterizzava le principali città americane. Herbert Shapiro definirà il suo giornalismo “una forma di azione sociale, dato che conosceva molto bene il potere delle parole stampate”, uno strumento capace di incidere sull’opinione pubblica e dunque sulle diverse sfere dela società. Decisiva nella sua formazione di giornalista sarà l’esperienza europea, dal viaggio a Lipsia all’esperienza alla Sorbona di Parigi e al British Museum di Londra, che gli consentirono di acquisire un metodo scientifico di osservazione e riflessione. Fino al trasferimento a New York dove diventerà reporter del New Evening Post, per poi passare al “Commercial Advertiser” e cominciare la collaborazione con il “McClure’s Magazine”, rivista periodica illustrata, costituita nel 1893 da Samuel Mc Clure, John Phillips e Albert Brady, dove, insieme a Ida Tarbell e Ray Stannard Baker entrerà a far parte del muckracking trio, pronto a denunciare lo strapotere del denaro nella società di oggi. Comincia così la sua inchiesta sul dilagare della corruzione politica e finanziaria nelle città, un’indagine che partirà da St Louis, quarto centro urbano più importante degli Usa, per abbracciare Minneapolis, Chicago e la stessa New York. Steffens sottolinea con forza come “La corruzione politica non è questione di uomini, classi, istruzioni o carattere. E’ questione di pressione. Ovunque si faccia pressione, la società e il governo cedono. Il problema, quindi, è come gestire la pressione, come scoprire e gestire la sua causa o la sua fonte ad acquistare e corrompere”. Grande l’attenzione rivolta al passaggio da una democrazia rappresentativa ad una oligarchia rappresentativa di interessi particolari, come evidenzia in “The struggle for self-government”, un processo a cui si contrappone l’azione di uomini capaci di sfidare il sistema con la loro tensione riformatrice, tra giudici, senatori e sindaci. Un itinerario, quello di Steffens, che si fa anche riflessione sulla politica internazionale, dalla rivoluzione messicana della quale il giornalista statunitense divenne ammiratore al comunismo russo da cui fu ugualmente impressionato, dopo aver intervistato lo stesso Lenin ed aver compiuto un viaggio in Unione Sovietica, pur ammettendo che “Compresi come la democrazia pura della Russia al suo punto massimo si trasformò in dittatura, chiamata la dittatura del lavoro, di fatto la dittatura di un uomo solo”.
Ad emergere la forza di un giornalismo d’inchiesta che diventerà il punto di partenza di un’indagine sociologica scientifica centrata sull’analisi della dimensione urbana, strettamente legata al lavoro di studiosi come Jacob Riis che avevano documentato le drammatiche condizioni degli immigrati a New York. Il punto di vista era per la prima volta quello di chi sceglieva di non schierarsi ma cercava di raccontare i fatti come apparivano ai suoi occhi, senza essere al soldo del potente di turno. Il cronista diventava testimone della società di cui era parte e la descriveva senza subordinarla a interessi di parte. Centrale nella sua indagine le relazioni con gruppi di cittadini e le testimonianze nelle udienze pubbliche mentre pochi furono i contatti diretti con politici e corruttori. “Il testo di Steffens, il suo oggetto d’analisi, apparentemente orientato solo alle persone, ai boss e alle organizzazioni della malavita – spiega Rauty – presupponeva la nuova centralità determinata dalla realtà urbana nella vicenda statunitense”. Per chiarire come “Lo sviluppo urbano tra sovraffollamento, disoccupazione e sottoccupazione , dominato in tanti casi dall’insufficienza alimentare e dalla apparente inarrestabilità di malattie che falcidiavano anzitutto i bambini e gli individui consumati da orari di lavoro insopportabili, offriva di fatto, tra immigrati e lavoratori unskilled, una massa di manovra disponibile a vendere per pochi soldi il proprio voto o consenso, cosa che si registrava regolarmente a livello di distretto”. Era, dunque, proprio la struttura urbana a facilitare i processi di corruzione, da quelli più macroscopici a quelli meno consistenti. Il merito di Steffens fu quello di evidenziare l’interazione tra politica e interessi economici, ponendo l’accento sulla presenza di una sistema che andava al di là del dato occasionale, che non riguardava solo questa o quella città o quel momento storico sociale ma poteva crescere e svilupparsi in ogni luogo e in ogni tempo, favorito dall’assenteismo e dal disinteresse sociale perchè la “massa non è innocente” e l’apatia della comunità è sempre da condannare. Un volume che parla al presente, portando alla luce le troppe omissioni, indifferenze e silenzi che hanno caratterizzato e ancora caratterizzano una parte dell’informazione.