Le Regionali nel 2025 – probabilmente in autunno -, le Provinciali nella primavera del 2026. Nessuna sovrapposizione, le elezioni si terranno ad un anno circa di distanza. Dopo il voto per Palazzo Santa Lucia ci sarà tutto il tempo per ragionare sulle Province riformate dove si tornerà al suffragio universale diretto.
Dopo una prima accelerazione sulla riforma della Province il governo rallenta: la proposta, al vaglio della commissione affari istituzionali della Camera, è bella e pronta ma per essere applicata manca di risorse. Il disegno di legge, abolendo la “Delrio”, prevede infatti non solo l’elezione diretta di consiglieri e presidente, ma anche l’attribuzione alle Province di nuove funzioni oltre a scuola e ambiente le uniche che gli sono rimaste.
Oggi, non solo questo ente ha competenze residuali ed esigui fondi da investire. Sul piano politico sconta problemi di rappresentanza: la composizione degli organi provinciali, il presidente che rimane in carica per quattro anni e il consiglio che si insedia per due anni, è influenzata dalle dinamiche istituzionali dei Comuni: se un sindaco o un consigliere non viene rieletto allora in Provincia si procede con le surroghe.
Ma nonostante la necessità di una riforma delle Province sia condivisa un po’ da tutti i partiti, mancano risorse. Se n’è convinto anche il ministro per le Autonomie, il leghista Roberto Calderoli, che era stato uno degli sponsor più decisi della controriforma: “La legge Delrio è la più grossa vaccata nella storia del paese”, aveva detto qualche anno fa.
Ma il ministro ora si è accorto che prima di tutto bisogna far quadrare i conti: “Molto lavoro è stato svolto sulla determinazione dei fabbisogni standard delle Province e delle Città metropolitane”, ha dichiarato. “Il problema vero, tuttavia, risiede nel fatto che, nonostante il contributo aggiuntivo previsto dalla legge di bilancio 2022, sussiste tuttora un deficit di risorse per il comparto per l’esercizio delle funzioni fondamentali”, ha ammesso Calderoli.
Dello stesso avviso anche il senatore Domenico Matera, esponente di Fratelli d’Italia e presidente del Comitato per la legislazione: “Il testo unico per la riforma delle Province è in via di ultimazione, ma un provvedimento definitivo ci sarà solo nel 2025: è una questione di risorse. Se attribuiamo nuove funzioni alle Provincia, vanno trovati prima i soldi per finanziarle. Il voto diretto dei cittadini non ci sarà prima del 2026”. La politica può attendere.
Per quanto riguarda le Regionali, in programma il prossimo anno, grandi manovre sono invece già in corso nei partiti. Anche in questo caso però la legge elettorale potrebbe cambiare. E’ in discussione infatti nella commissione regionale affari istituzionali un ritocco del quorum dello sbarramento per entrare in Consiglio.
In pratica la riforma prevede l’introduzione della soglia del 3 per cento – ma il Pd chiede il 4 – anche per le liste candidate collegate a un candidato Presidente che va oltre il dieci per cento, e non solo per le formazioni elettorali che corrono da sole. Il confronto è in corso.
La questione dirimente è comunque il terzo mandato per il governatore Vincenzo De Luca. Un “problema” politico e in parte giuridico. Per quanto riguarda le norme che regolano la materia, l’articolo 2 della 165 del 2004, che recepisce il dettato costituzionale dell’articolo 122, prevede la “non immediata rieleggibilità allo scadere del secondo mandato consecutivo del presidente della giunta regionale, eletto a suffragio universale e diretto, sulla base della normativa regionale adottata in materia”.
La legge non sempre trova applicazione. Nel 2010 sia in Lombardia che in Emilia-Romagna sono stati rieletti per un terzo mandato rispettivamente i presidenti Roberto Formigoni e Vasco Errani. In seguito ai ricorsi elettorali la magistratura ordinaria ha stabilito la competenza regionale per la disciplina dei casi di ineleggibilità e incompatibilità del presidente della regione: di conseguenza la non diretta applicazione della 165/2004 se non recepita da una legge regionale.
In Veneto, Luca Zaia è in carica per la terza volta dopo aver fatto approvare la legge elettorale con il limite dei due mandati nel 2012, cioè quando è scattato il decorso del termine per i mandati. De Luca potrebbe muoversi secondo il modello veneto adottando una norma che incamera i principi della 165/2004, oppure potrebbe trovare una altra soluzione. Una cosa è certa: al di là del cavillo giuridico, il governatore ci sarà, con o senza il Pd. Senza, pare, dopo il caso Alfieri.