Nel 2020 il governatore Vincenzo De Luca ha vinto a mani basse: con quasi il 70 per cento del consenso. Non ci fu partita, anche perché il Covid ispirò le invettive social di De Luca contro i cinghiali umani in tenuta da corsa, le sparate col lanciafiamme contro le feste di ogni genere e le minacce di calci in culo a chi violava il coprifuoco. Il presidente senza freni, a tratti senza il bon ton istituzionale che richiederebbe la carica che ricopre fu protagonista assoluto di una campagna elettorale sui generis, surreale ma vincente.
Il protagonismo di De Luca è stato il tratto essenziale che ha contraddistinto le regionali del 2020. Sono state elezioni particolari perché si sono tenute nel pieno della pandemia, il resto lo ha fatto il presidente della Regione. Che è stato il catalizzatore dei voti. Per le pirotecniche dirette su Facebook, oppure per le ordinanze contro le violazioni delle norme contro il contagio, o anche per il lavoro che ha portato avanti la giunta di Santa Lucia nel 2020 De Luca ha stravinto. Grazie al suo apparato- sistema di potere, al suo carisma politico o per qualche altra ragione, ad esempio perché a sfidarlo c’era Stefano Caldoro e un centrodestra senza appeal.
Ed oggi De Luca è già in campagna elettorale da un pezzo: e le spara grosse in ogni occasione: ad esempio auspicando fucilate per i manager poco attenti che hanno gestito l’Alto Calore, raccontando le aree interne come l’Eldorado della Campania, sostenendo che c’è una sanità d’eccellenza (basta farsi un giro – facendo gli scongiuri – nel Pronto soccorso del Moscati per capire se è vero), raccontando di trasporti efficienti – ma ad Avellino i treni non passano -, dipingendo le Terre dell’Osso dotate di una rete di strade veloci – però la Lioni-Grottaminarda non è stata completata.
De Luca ricorda in ogni pubblica occasione una trafila più o meno verosimile di successi. Suona come un disco rotto che gira tra una battuta e un’altra, in loop su tutto il programma. Parlare di terzo mandato ormai fa venire l’orticaria anche allo stesso De Luca. Che si fa sentire e vedere ogni volta che può, quando c’è da tagliare nastri soprattutto o per ricordare che ad aver tagliato il nastro anni addietro è stato lui.
Sul piano politico e amministrativo si presenta come se lui fosse insostituibile. La Campania non può fare a meno di me, è il messaggio. La classe dirigente finisce con me, dice. Sarebbe irragionevole, ai limiti del ridicolo non benedire o non farsi battezzare da me governatore: ecco il De Luca pensiero. Neppure il governatore crede a ciò che dice. Però lo dice.
Ruba la scena a tutti. E’ comprensibile: è in campagna elettorale. E’ incomprensibile che il centrosinistra e il centrodestra non si facciano vedere né sentire. Dovrebbero imparare la lezione di De Luca: ci vuole un poco di spregiudicatezza, quanto basta per non scadere nel ridicolo, ci vuol almeno un sussulto politico, almeno uno ogni tanto, ci vuole qualcosa da dire in un certo modo, con un poco di enfasi, con un poco di convinzione. Non basta la credibilità di un nome o la ragionevolezza di una idea o di una proposta – che pure mancano, sia nel centrodestra che nel centrosinistra – declinate con troppa compostezza, che non vanno a segno e che al massimo fanno il rumore di una fetecchia. Se è vero che De Luca le spara grosse, e quando può prende a cannonate il suo stesso partito, il centrosinistra e il centrodestra rispondono a salve.