Giuseppe Moricola, uno degli esponenti più autorevoli della Sinistra irpina, da studioso, docente di storia economica de L’Orientale, ha indagato a fondo le dinamiche finanziarie che condizionano il rapporto tra Stato e territorio. Ed è proprio da questa relazione, che bisogna partire per comprendere gli effetti dell’autonomia differenziata.
Professore, era scontato che la Corte costituzionale bocciasse l’autonomia?
La Consulta afferma che la riforma voluta da Calderoli e dal centrodestra produce disparità e discrasie economiche e sociali sul piano territoriale: per tale ragione non è in linea con i valori, i principi, le norme della Costituzione. Il centrosinistra aveva abbondantemente sottolineato l’inconsistenza di una norma che affidava la sua improbabile, a questo punto impossibile, vigenza alla definizione dei Livelli essenziali di prestazione.
Perché non ci si può affidare ai Lep?
E’ impossibile fissare dei Lep che siano oggettivi: la prassi dei tanti studiosi che si sono applicati per definirli, non ultima la commissione di “saggi” affidata alla direzione di Cassese, è stata fallimentare. Definire i Lep è una questione annosa e problematica di cui si discute da circa dieci anni, cioè da quando fu modificato, con il concorso delle forze di centrosinistra. il titolo V della Costituzione.
Il criterio della spesa storica non funziona?
Il problema è che dietro questa riforma ci sono scelte politiche inequivocabili: sono i territori ricchi, ad esempio il Veneto di Zaia, a volere una autonomia pensata a loro uso e consumo. Se fissassimo i Lep in base alla storicità della spesa, nel Mezzogiorno saremmo svantaggiati: non faremmo altro che accogliere una diseguaglianza ex ante che sarebbe insanabile. Secondo alcuni autorevoli studi occorrerebbero 100 miliardi per allineare i Lep del Sud a quelli del Nord. E pensare che la Destra ha sempre affermato che si trattasse di una riforma a costo zero.
Di cosa ha bisogno il Sud?
Un governo lungimirante capirebbe che, dopo la crisi dei modelli capitalistici che si sono susseguiti fino al 2008, realtà non sfruttate come il Sud potrebbero essere una risorsa preziosissima per lo sviluppo dell’intero Paese. Si è sempre invece pensato che il Mezzogiorno potesse rincorrere il Nord.
E invece?
Le risorse occulte, nascoste, del Mezzogiorno, ovvero non impegnate dal modello industrializzato che è stato imposto, potrebbero essere un formidabile fattore di sviluppo. A patto che ci siano finanziamenti certi, non aleatori, e che le istanze dal basso siano accolte e supportate dallo Stato. Perché anche se gli stakeholder avranno una parte essenziale non potranno mai riuscire a finanziare infrastrutture che necessitano di notevoli investimenti: è qui che dovrebbe intervenire lo Stato. Questa combinazione purtroppo è sempre mancata.
Una riedizione della Cassa per il Mezzogiorno?
Nella stagione degli interventi straordinari lo Stato ha fatto da solo, abbiamo visto con quali risultati. Nel periodo successivo incentrato sullo sviluppo locale ha prevalso la demagogia sulla progettazione dal basso. Sì, ci sarebbe bisogno di una buona riedizione di una Cassa per il Mezzogiorno questa volta non eterodiretta dall’esterno ma con una forte partecipazione degli attori locali. Il Sud può fare un salto se è in grado di gestire una serie di variabili di modernizzazione che lo mettano alla testa del processo di sviluppo di sviluppo del Paese.