S. Andrea di Conza riconsegna, ancora una volta se stessa allo stato di cittadella ad honorem della cultura. Tra libri stesi tra i vicoli, come panni ad asciugare, scritte di poesie e di frasi letterarie sui muri, nello snodarsi del dedalo di viuzze, strade scoscese e profumi antichi, questo paese ha il pregio di riconnettere l’uomo con la natura e con se stesso. Come in una corrente invisibile, come una marea silenziosa, anche questa volta la Festa del libro, rassegna nella kermesse culturale di più ampio respiro della cittadina irpina, ci parla di una umanità diversa, della trasmissione di saperi e di conoscenze, di libri che, nel passare di mano in mano, diventano oggetti preziosi, custodi di segreti antichi.
Così, in una formula leggera e veloce, quella del salotto letterario, si sono confrontati Rocco Faraone, Alessio Mazzolotti, Vera Mocella, nella presentazione dei propri libri, rispettivamente “Morire di libertà” (Leone Editore), “Giorni di Macaia” (Bookabook), “In questa immagine avrò vissuto” (Rp Edizioni), pungolati dalle riflessioni della giovanissima Giulia di Cairano. Così, tra gli interrogativi su cosa sia e a cosa serva la letteratura, tra mafia e resistenza, tra interrogativi di bioetica e affondi nella storia e nel sociale, gli autori si sono raccontati senza infingimenti e senza filtri, svelando le trame o il senso dei propri testi. E se “macaia”, che è il termine ligure per indicare l’afa estiva, rappresenta forse anche uno stato d’animo, l’atmosfera opaca ed inquieta in cui sono avvolti i personaggi dell’avvincente romanzo di Mazzolotti, che ha il pregio di porre domande esistenziali sulla storia italiana del dopoguerra, ma anche sulla natura profonda dell’essere umano, mentre la libertà sembra essere la reale protagonista del romanzo di Faraone, la libertà di andare contro la propria famiglia, il proprio contesto sociale, la camorra, sino all’estrema libertà di morire per quello che si ritiene giusto, così come il mistero della poesia e l’epifania di quel che nascosto, aleggia nei versi di Mocella.
Così, tra balle di fieno e panchette per ospitare il pubblico, anche la scrittrice Bianca Fenizia, presenta il suo libro “ I padroni del mare” (Rubbettino Edizioni), racconta come «assistiamo ad una narrazione del Sud sempre uguale, monotona, come se non ci fossero differenze tra i territori che lo compongono. Mentre ci sono diverse tipologie di Sud, c’è un Mezzogiorno in cui l’impronta realistica sfiora quella mitica, uno spazio di confine tra l’età dell’infanzia e della maturità. Ecco perché mi piace parlare di Calabrie e non di una sola Calabria». E se l’autrice ha spiegato come occorra passare da una narrazione bidimensionale ed oleografica del Sud, ad una narrazione dei paesaggi lenti del Sud, spiega come anche il racconto del passato non debba essere totalizzante.
Di cosa sia la resilienza, il coraggio e la dignità umana, parla, invece, il libro del giornalista Aldo Balestra, uno spaccato, anche toccante, sulla realtà “sommersa” della nostra Italia, su quelle storie altre che hanno il pregio di scandagliare la complessità dell’animo umano. “80 passi in rete. Vite oltre gli ostacoli” , pubblicato da Terebinto Edizioni, è un libro che non fa sconti di sorta, ma con lucidità e con coraggio, racconta ottanta storie vere di uomini e donne che riescono, nonostante condizioni di difficoltà o di marginalità e di fragilità sociale, a ritrovare il senso del proprio vivere, mediante un percorso esistenziale che mette in luce gli aspetti più veri ed umani della nostra natura. Preponderante, nella sua narrazione, è proprio la centralità della persona, impreziosita anche da immagini che contribuiscono a rendere più icastiche le storie narrate. I racconti, articolati in dieci sezioni tematiche, mettono sempre la persona al centro: dall’identità del Paese alle vite spezzate dalla violenza, dagli esempi di coraggio alla fede, dai social alla scuola, dalla guerra alla famiglia, fino allo sport. «Bisogna leggere per non dimenticare – ha affermato Balestra – perché l’Italia è un paese dalla memoria corta, o inesistente, come diceva Pasolini, ed io ho voluto raccontare queste storie, avvenute a diverse latitudini, per indurre il lettore a riflettere. E se è vero, come affermava un grande maestro di giornalismo come Indro Montanelli, che esortava a scrivere dell’altro come se scrivessimo di noi stessi, dobbiamo rapportarci con umanità, alla storia che raccontiamo. Questo cozza con una dimensione giornalistica dominata dalla fretta, sempre più veloce, ma dovrebbe essere una sorta di imperativo etico, per chi si occupa di giornalismo. Molte di queste storie sono tratte da notizie che ci scorrono dal circuito della rete, dove tutto si accavalla, si confonde, questo libro risponde ad una sorta di esperimento stilistico e letterario, quello di rapportarsi al pubblico della rete come spunto iniziale per raccontare una storia ed indurre, chi legge, a confrontarsi con il racconto stesso». Sono spunti di riflessione, domande aperte quelle che propone Balestra, con un richiamo potente alla nostra coscienza ed alla nostra responsabilità di esseri umani. E se è vero che “le storie non sono che asce di guerra da disseppellire”, ricordiamoci di disseppellire anche la nostra umanità.
Ve.Mo.