Dopo questo doppio test elettorale prima l’Abruzzo e poi la Sardegna e soprattutto dopo questi mesi al governo i cinque stelle perdono consensi mentre specularmente l’alleato leghista aumenta i voti e conferma la sua definitiva trasformazione da partito regionale a partito nazionale. Insomma la competizione interna alla maggioranza favorisce per ora solo il partito di Salvini. La sua politica è molto mediatica. Un post su facebook o un tweet per incidere sulla percezione degli elettori. Una continua e ossessiva presenza televisiva e una perenne campagna elettorale. In Sardegna si è visto più lui del candidato del centrodestra Solinas. Finora questa strategia ha pagato. Si è passati così rapidamente da parole d’ordine scandite in base all’identità. “Prima il nord”, poi “prima gli italiani” e adesso “prima i sardi” a breve visto che si voterà in Basilicata ci sarà il “prima i lucani”. La politica però non è solo parlare alla pancia della gente e qualche piccolo problema si è visto in questa competizione elettorale dove l’uomo del momento è cioè Salvini non può gioire più di tanto visto che la Lega ha registrato un modesto progresso. Una battuta d’arresto in un clima che vede comunque Salvini al centro della scena di un dibattito pubblico che però riflette le inquietudini di un Paese sfibrato e che tende ad affidarsi al leader più forte. Il centrodestra a trazione leghista ha vinto tutte le ultime competizioni elettorali tanto che Salvini parla di un 6-0 a favore della Lega. Al di là della battuta tennistica c’è un dato che emerge: un ritrovato bipolarismo confortato anche dai numeri. Nelle regionali in Abruzzo e Sardegna centrodestra e centrosinistra sommati rappresentano l’ottanta per cento dei voti, alle politiche dello scorso 4 marzo nelle stesse due regioni si fermavano al 50 per cento. Si tratta naturalmente di competizioni diverse che però indicano un altro senso di marcia. Un ritorno alle coalizioni più classiche e una pesante sconfitta del movimento cinque stelle. Dunque da quando il governo giallo-verde è nato a crescere è solo la Lega a scendere è il movimento grillino. Le differenze politiche non si sono annullate anzi la distanza programmatica è aumentata. Per restare in Sardegna c’è un proverbio che dice: “abba minore non girat molinu” cioè poca acqua non fa girare il mulino e dunque sta ad indicare che col poco non si può fare molto. Le promesse elettorali sono lo stop agli sbarchi e il reddito di cittadinanza. Due temi che oggi forse non bastano più da soli ma che andrebbero accompagnati da un secondo tempo dell’azione di governo. Come spiega Antonio Polito “è perfettamente comprensibile che Salvini recalcitri a rompere l’alleanza di governo: finchè è possibile non vuole modificare una situazione che gli sta portando voti e successi. Ma forse anche per lui arriverà il momento di scoprire il limite fisiologico dell’uomo solo al comando, di fronte al reticolo di interessi, tradizioni e culture di cui è fatta un’Italia da sempre politicamente pluralista e socialmente composita”. La vera sfida di Salvini è questa: accettare un’inversione di tendenza, meno prove muscolari e più rispetto per chi la pensa diversamente. Il primo piccolo segnale è quello di ammettere di aver avuto troppo ottimismo nella vicenda dei pastori sardi. Anche in quel caso tante promesse e pochi fatti. Ma al di là di questa vicenda oggi per Salvini c’è la questione di ridefinire un rapporto con i cinque stelle e dare una prospettiva ad un esecutivo che deve affrontare una difficile congiuntura economica. Le sconfitte in serie di Di Maio potrebbero spingere i cinque stelle a stare agganciati al governo il più a lungo possibile. Restare ma senza galleggiare.
di Andrea Covotta