Ricordare, ad un anno di distanza dalla sua scomparsa, David Sassoli non è solo doveroso per l’eredità che ci ha lasciato ma anche per quello che avrebbe potuto ancora dare. Nel corso della presentazione del libro dedicato all’ex Presidente del Parlamento europeo, il segretario del Pd Enrico Letta ha rivelato di aver offerto a Sassoli la candidatura alla presidenza del consiglio alle elezioni politiche. Gli dissi – ha rivelato Letta – hai la capacità politica di costruire una coalizione più larga, io faccio un passo indietro così che il nostro Paese possa avere una proposta di stampo europeista. Il colloquio si svolse il 16 dicembre del 2021, meno di un mese dopo l’11 gennaio del 2022 Sassoli è scomparso. La malattia – ha dunque secondo Letta – cambiato il corso del voto. Sassoli avrebbe potuto unire una coalizione variegata dai centristi, al Pd, ai Cinque Stelle senza snaturarne l’identità ma dandogli un profilo europeista e attento alle questioni sociali, alla solidarietà, all’ambiente. Una sintesi che oggi nel centrosinistra non si intravede, troppi personalismi e nessuno in grado di cogliere la lezione della centralità della persona come Sassoli aveva imparato dai suoi maestri del cattolicesimo democratico. E poi la grande attenzione verso l’Europa, non vista come matrigna ma come casa comune. L’Europa non del rigore economico ma della solidarietà, attenta ai cittadini come è accaduto durante la tragedia della pandemia. L’emergenza sanitaria ha richiesto interventi straordinari – come ha ricordato anche il capo dello Stato Mattarella – e la risposta delle istituzioni europee è stata quella di sostenere l’economia e la vita sociale, una risposta molto diversa a quella che l’Unione aveva dato dopo i terremoti finanziari dei primi anni del Duemila. Politiche sempre incoraggiate da Sassoli che non ha mai smesso di credere all’Europa come dimostra il suo discorso di insediamento da Presidente del Parlamento di Strasburgo nel luglio del 2019, ben prima del Covid “L’Unione europea – aveva detto Sassoli – non è un incidente della storia. Io sono figlio di un uomo che a vent’anni ha combattuto contro altri europei. E sono figlio di una mamma che, a vent’anni, ha lasciato la propria casa e ha trovato rifugio presso altre famiglie. Io so che questa è anche la storia di tante vostre famiglie e se mettessimo in comune le nostre storie e ce le raccontassimo davanti a un bicchiere di birra, non diremmo mai che siamo figli e nipoti di un incidente della storia. Ma diremmo che la nostra storia è scritta sul dolore. Sul sangue dei giovani britannici sterminati sulle spiagge della Normandia. Sul desiderio di libertà di Sofia e Hans Scholl. Sull’ansia di giustizia degli eroi del ghetto di Varsavia. Sulle primavere represse con i carri armati nei nostri paesi dell’est. Sul desiderio di fraternità che ritroviamo ogni qual volta la coscienza morale impone di non rinunciare alla propria umanità e l’obbedienza non può considerarsi una virtù. Non siamo un incidente della storia. Ma i figli e i nipoti di coloro che sono riusciti a trovare l’antidoto a quella degenerazione nazionalista che ha avvelenato la nostra storia. Se siamo europei è anche perché siamo tutti innamorati dei nostri paesi. Ma il nazionalismo che diventa ideologia e idolatria produce virus che possono produrre conflitti distruttivi”. La guerra in Ucraina era ancora lontana e Sassoli non ha visto l’aggressione russa ma ne aveva colto in anticipo i prodomi. Per lui l’Europa era una culla di civiltà e amava citare Eschilo, a proposito dei conflitti tra i popoli, che disse ai suoi greci che avevano appena vinto i persiani, ricordatevi che i vincitori si salveranno solo se rispetteranno gli Dei e i templi dei vinti.
di Andrea Covotta