di Virgilio Iandiorio
Il vino, a buon diritto, è stato cantato da poeti, scrittori e artisti sin dall’alba della nostra civiltà. Ma alle origini ha avuto concorrenti temibilissimi. L’episodio di Ulisse nell’antro del ciclope Polifemo è arcinoto; ma provate a immaginare lo scontro tra i due come quello tra due abitudini alimentari diverse: i bevitori di latte (Polifemo) e i bevitori di vino (Ulisse). Tutti sanno come andò a finire la vicenda narrata da Omero: vinse il vino.
Andrea Bacci, medico e professore di botanica alla Sapienza di Roma, nato nel 1524, pubblicò nel 1596 il De naturali vinorum historia, in sette libri: il quinto è dedicato ai vini dell’Italia. L’opera arricchita dei riferimenti alla letteratura classica, contiene annotazioni sul clima, sui sistemi di coltivazione della vite nelle varie regioni, sulle abitudini degli abitanti rispetto al vino.
Subito ho cercato nel libro dei riferimenti ai vini della Campania, delle zone interne in particolare, quelli con denominazione garantita. L’autore, che dimostra di conoscere molto bene vini e vigneti di tutta la Penisola, per la regione Campania si sofferma in maniera quasi esclusiva su quelli della Campania Felix, cioè le zone costiere. “Lucio Floro –scrive il Bacci– trattando della fertilità di tutta la regione Campania, afferma che è la più bella non solo d’ Italia ma di tutto il mondo; qui si dice che gareggiassero Cerere e Bacco, non c’è niente più fertile di questa terra, che è baciata da due primavere, ha monti celebri e ricoperti di viti; li ricordiamo: Falerno, Gauro, Massico. E ancora Posillipo famoso per l’Amineo, e inoltre il Vesuvio, un tempo fiammeggiante, nei secoli successivi è diventato fecondo di vini generosi…. “
E venendo all’Aglianico, il vitigno dell’odierno DOCG Taurasi, annota:” E’ intermedio tra il Mangiaverro e la Lacrima Christi…Vino vigoroso, viene raccolto soprattutto con vendemmie asciutte, non umide; conservato in ottimi recipienti. Perché diventa odoroso e succoso, gradito al palato, abbastanza dolce e stabile, per questo di molto nutrimento, confortevole allo stomaco più che alle altre parti del corpo”.
“Il Mangiaverro, scrive il Bacci, si coltiva nella zona vesuviana ed è simile al Lambrusco; viene così chiamato perché i cinghiali, che qui chiamano verri, ne sono ghiotti. Esso è coltivato anche in Calabria e in Puglia, ma deve essere vendemmiato in ottobre, a San Francesco, perché è duro di acino e giunge tardi a maturazione”. Il Papa Paolo IV, nato nel Principato Ultra, lo riteneva salutare contro la tosse e ne faceva uso mescolandolo però con vino Greco. Dalle vinacce del Mangiaverro si ricavava un secondo vino “secundaria vina, Aquetta vocata”, cioè quello che i nostri nonni chiamavano acquata, vino di un colore rubino molto chiaro, ottenuto col rimettere in fermentazione le vinacce già premute, aggiungendovi, però, dell’acqua. Per la sua bassa gradazione alcolica l’acquata serviva per dissetare i contadini che lavoravano nei campi. La massaia portava ai contadini la colazione (la merenda) e il pranzo, accompagnandoli con un fiasco di vino; ma essi si avvedevano subito che non era vino puro, e storcevano il muso.