“Continuerai la ricerca nella biblioteca celeste”. Scrive così Antonetta Tartaglia nel ricordare Carlo Franciosi, archeologo straordinario, spentosi all’età di 80 anni, in prima linea nella ricerca archeologica in Irpinia, da Carife a Frigento, dal sito di Abellinum ad Aeclanum fino alla Vella Caudina, al fianco di Werner Johannowsky dapprima negli scavi e poi nei difficili giorni del sisma nel tentativo di salvare il patrimonio del territorio. Uno studioso come pochi che credeva nel valore della cultura come strumento di riscatto dei territori, nel rigore scientifico, nella forza delle idee, collaboratore prezioso del Corriere dell’Irpinia e poi del Quotidiano. Generoso, malgrado l’apparente scontrosità, sempre attento all’essenza delle cose più che alla superficie, coerente fino alla fine con i valori in cui credeva. “Buon viaggio caro Carlo , mio fratello culturale – prosegue Tartaglia – mente geniale, grande archeologo, generoso e sfortunato studioso. Dormi avvolto nella calda coperta dei tuoi libri. Non ti vedremo più per le strade di Altavilla con due bustoni pieni di libri. Il museo della Gente senza storia da te promosso e ideato ti ringrazia. La storia di monte Toro, di Contrada Tufara vivono grazie ai tuoi scavi. Salutami mamma che tu adoravi, zia Concetta questa volta non ti ha potuto aiutare. Avevi trovato in lei la sua seconda mamma e lei in te vedeva il caro figlio Giuseppe morto a venti anni. Continuerai la tua ricerca nella biblioteca celeste.”. A ricordarlo con commozione Franco Festa “un gigante della cultura irpina e meridionale”. “Lo ricordo a Prata, quando ero un ragazzino – spiega Dino Giovino – Il suo racconto della basilica e delle catacombe ha alimentato la mia passione per lo studio”.
A ricordare il suo prezioso contributo alla ricerca archeologica irpina l’amministrazione comunale di Atripalda. E’ il delegato alla Cultura, Lello Barbarisi a spiegare come “Carlo era malato da tempo, ma non è trascorso molto dal nostro ultimo contatto. Indimenticabili le nostre chiacchierate agostane sul suo balcone, insieme all’amico Gerardo Troncone. Il più grande di tutti: fortunati coloro che hanno potuto apprezzare la sua immensa e profonda cultura per l’antico. Lo scorso anno fece pervenire al nostro Comune la volontà di destinare una parte del suo patrimonio librario e documentario alla nostra Biblioteca. Prenderemo contatto con i familiari per comprendere se intendano confermare questo suo nobile desiderio. La tomba a camera di via Tufara resta la sua più grande raccomandazione. Cercherò di onorare il suo impegno. Ciao, Prof. L’Amministrazione Comunale si unisce al dolore della famiglia e di quanti ne hanno conosciuto la grande umanità, la passione per la ricerca e l’amore per Atripalda”.
“Ho frequentato il terzo anno del liceo classico con Carlo Franciosi – ricorda Armida Tino -.Carlo aveva conseguito l’anno prima la maturità scientifica e la sua totale passione per l’archeologia lo aveva indotto a voler conseguire anche la maturità classica per potersi iscrivere alla facoltà di lettere classiche indirizzo archeologico. Appassionato curioso responsabile attento .Avevamo la fortuna di essere allievi di un professore di latino e greco eccezionale si chiamava Marciano Stanco, un professore di altri tempi che si rivolgeva agli allievi con il lei e era perfettamente consapevole di cosa significasse ex cathedra. Carlo Franciosi dibatteva con lui e cercava le parole più giuste in quel grande universo che erano i nostri dizionari di latino e greco Georges e Ricci per raggiungere la perfezione che sempre fu il suo obiettivo .In lui c’ era ansia e passione una passione che coltivato per tutta la vita assieme al grande Johannowsky. Di entrambi non posso che lodare rigore lungimiranza perfezione della ricerca. . Perché per fare qualsiasi lavoro dal più banale a quello intellettualmente più perfetto occorre avere passione”.
“Ho saputo della morte di Carlo Franciosi – spiega la docente Luisa Bocciero – Abbiamo lavorato insieme per anni tra Avellino e Benevento e ogni volta ci stupivamo del fatto che non riuscivamo a litigare, fatto raro come il passaggio della Cometa di Halley… Una storia da romanzo, la sua…dietro il suo aspetto respingente c’era un ragazzo che aveva lottato per i suoi ideali e non era mai venuto a compromessi, che viaggiava per tutto il mondo di notte leggendo libri di geografia e diari di viaggio, che ha trasmesso alla terra di scavo e al mausoleo di libri in cui si era murato da vivo tutto l’amore che non riusciva a dare al mondo. Che ha saputo voltare le spalle all’ Accademia. Che non si fidava delle promesse di divulgazione e conservava, in attesa del momento. Non so cosa sarà della sua memoria, d’altra parte aveva scelto di restare nella piccola provincia. Che la sua eredità non sia sprecata in modo provinciale, solo questo mi auguro”,
Commosso il ricordo del Centro Dorso “Il presidente Luigi Fiorentino, il CdA, il CS e i collaboratori del Centro di Ricerca Guido Dorso esprimono profondo cordoglio per la scomparsa del prof. Carlo Franciosi, archeologo di straordinaria levatura e figura di riferimento per la storia del patrimonio archeologico e storico dell’Irpinia, che ha difeso con coraggio, dedizione e passione professionale e civile. Generoso amico della Biblioteca del Centro Dorso, studioso schivo, di intuito fine e conoscenze vastissime, acuto nei suoi giudizi fulminanti, intellettuale spesso controcorrente, sempre libero”
A ricordare Franciosi anche il sindaco di Altavilla Mario Vanni “Con profondo dispiacere apprendiamo della scomparsa del professor Carlo Franciosi, figura di grande spessore umano e culturale. Studioso appassionato, ha dedicato la sua vita alla ricerca e alla valorizzazione del nostro patrimonio storico e archeologico, contribuendo in modo determinante alla conoscenza delle origini di Altavilla Irpina e del suo territorio. La sua opera resta un punto di riferimento per chiunque ami la storia e senta il dovere di custodirla. Alla famiglia giungano le più sincere condoglianze e la riconoscenza di una comunità che non dimenticherà il suo contributo”.
“Carlo lo incrociai – scrive Raffaele La Sala – nel cantiere per la costruzione della variante Avellino/ Atripalda. Insieme al compagno di scuola Celestino Codogno, figlio di un capo cantiere, ce ne andavamo ogni tanto in giro a curiosare e ad ascoltare le conversazioni dei ‘grandi’. Stavamo scoprendo, nel 1964/65, che Atripalda aveva una storia archeologica e ci incuriosiva quel giovane barbuto che seppi poi essere un promettente archeologo. Era Carlo Franciosi.
“A Carlo Franciosi – sottolinea Franco Damiano sindaco di Montesarchio – va un ringraziamento profondo e sincero per l’incredibile contributo che ha dato, con passione e competenza, alla valorizzazione del nostro patrimonio culturale archeologico. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo come me da giovane e poi da sindaco, sa che non era soltanto un archeologo, ma un autentico custode della memoria del territorio. Dietro quella figura inconfondibile — la barba lunga, il volto serio, le mani sempre immerse nella terra degli scavi di Montesarchio — c’era la curiosità e la visione di chi sapeva guardare oltre le pietre, per restituire senso e vita alla nostra storia.
Lo ricordo fin da bambino negli scavi di via napoli intorno casa mia ,chino tra i resti antichi del nostro passato: un’immagine che allora faceva sorridere, ma che in realtà racchiudeva un’intuizione profonda. Carlo aveva capito grazie agli studi della grande Gabriella d’Henry ,che il nostro patrimonio archeologico era una ricchezza straordinaria, un’eredità da tutelare e condividere con le generazioni future.
La sua è stata una vita spesa per la ricerca e per la verità, come hanno ben raccontato coloro che lo hanno conosciuto anche in valle Caudina ed in Irpinia. Ma per noi di Montesarchio, il suo nome resta legato a una stagione di grande riscoperta, di passione civile e di amore per la cultura.
A lui va la gratitudine di un’intera comunità che oggi, anche grazie al suo impegno accademico può guardare con orgoglio alle proprie radici sapendo che tutto quello che abbiamo realizzato è frutto soprattutto del suo lavoro.
Grazie, Carlo, per averci insegnato che la storia non è solo ciò che si studia, ma ciò che si sente, si tocca e si tramanda”
“Due uomini e studiosi – sottolinea l’archeologo Alfredo Balasco – hanno inciso profondamente nella mia esistenza: Werner Johannowsky e Carlo Giuliano Franciosi, due giganti dell’archeologia Campana e molto di più. Conosciuti entrambi da giovane studente di architettura nel Dipartimento Studi Classici dell’Orientale di Napoli, negli Settanta del Novecento. Un luogo ove ritrovavo i miei interessi per gli studi del Mondo Antico, fatto alquanto singolare, per non dire strano, per uno studente di architettura. Carlo per me è stato una guida e un maestro, che mi ha inculcato l’amore, la passione e il rigore verso l’archeologia e per tutto ciò che riguarda la documentazione scientifica, in modo particolare sul rilievo e sugli studi dell’architettura antica. Un bagaglio di conoscenze che ha segnato profondamente il mio percorso professionale e di cui gliene sarò sempre riconoscente e grato.
Indimenticabili le esperienze vissute con Carlo negli scavi di Telesia e Montesarchio (Caudium), di cui rimane il più grande e indiscutibile conoscitore, insieme a tutto il Gruppo di Ricerca nelle Valli Telesine e Caudine (GLIVACT), la cui attività di ricerca è stata fondamentale, grazie al suo coordinamento scientifico con le sue immense capacità e doti intellettuali, per la tutela e per la ricostruzione della cultura materiale del territorio Irpino e Caudino”.
Un riconoscimento del suo lavoro prezioso arriva dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Caserta e Benevento che “esprime profondo cordoglio per la scomparsa del professore Carlo G. Franciosi, ricordandone con affetto e stima la passione e la dedizione per le antichità campane. Profondo conoscitore dell’archeologia irpina e sannita, le sue indagini hanno permesso di fare nuova luce tra l’altro sui siti di Caudium, Telesia e Beneventum, garantendone nello stesso tempo in modo concreto ed efficace la tutela e la conservazione.
Ricercatore dell’Università L’Orientale di Napoli e collaboratore delle Soprintendenze archeologiche di Napoli, Caserta, Avellino, Benevento e Salerno, è stato l’espressione di un’archeologia militante, capace di incidere profondamente negli studi sul mondo antico e nelle azioni pratiche di salvaguardia del patrimonio archeologico”.
E’ lo storico Gerardo Troncone a rendere omaggio al grande amico scomparso, “Se ne va l’ultimo grande dell’archeologia iroina”, riportando uno dei suoi rari pregevolissimi scritti, relativo al museo di Carife: Carife, “a chi lo osserva dalla valle dell’Ufita, si presenta come un nido d’aquila aggrappato a una parete verdeggiante, ed è ancora in grado di stupire per i suoi scorci che si aprono verso orizzonti infiniti, per i suoi silenzi surreali, per il senso di pace che trasmette a chi si addentra nelle sue strade. Nel cuore della Baronia, è situato a 740 metri d’altezza, su una propaggine del “Contrafforte di Trevico”, e domina la Valle dell’Ufita. La “montagna” omonima, che fa da quinta al paese, lo protegge dai venti freddi, la “voria” (la tramontana) e “La Luanta” (il vento di Levante) La “Montagna di Carife” è in gran parte demaniale ed è gravata di un’antica consuetudine che riconosce ai residenti il diritto di “legnatico” (raccolta della legna secca), quello di pascolo e quello della raccolta dei frutti del sottobosco (funghi, fragole, asparagi, origano, castagne). Oggi numerose mucche, pecore e capre presenti allo stato brado stanno distruggendo e desertificando l’’antica “montagna”. Ai “pignatari” di Carife era inoltre riconosciuto in antico il diritto di tagliare le ginestre, che venivano poi utilizzate nelle fornaci per cuocere le “ruagne” e laterizi in terracotta. Il commercio di giare, ciotole, cecini, pignate, tiani, ecc., dava, in passato, reddito a numerose famiglie del paese. Oggi solo un giovane artigiano continua questa antichissima attività, documentata a Carife fin dal Neolotico. In località “Bocche”, fresche sorgenti approvvigionano d’acqua il paese, che gestisce in proprio la straordinaria risorsa. Il territorio degrada dolcemente verso l’ Ufita con una serie di colline argillose incise da valloni e ricoperte di argentei oliveti e di macchie. Data l’esposizione a mezzogiorno, qui è il terreno ideale per gli uliveti, che danno un olio rinomato ovunque e per i vigneti, ridotti oggi a microscopici appezzamenti.
Come tanti paesi dell’Irpinia, Carife è stato colpito da numerosi terremoti e dalla piaga dell’emigrazione, che vede oggi i carifani in ogni parte del mondo, con gli attuali abitanti a poco più di 1.500, per lo più anziani. Inesorabile l’abbandono dei campi e dell’agricoltura.
Scarsissime sono invece le notizie storiche relative al primo millennio cristiano. Il paese, con tutta la Baronia, fu accorpato dai Longobardi sotto il Ducato di Benevento nell’ 849 e nel XI secolo lo troviamo tra i possedimenti di Gradilone, nipote di Roberto il Guiscardo. Nel 1269 il territorio passò alla famiglia del Balzo.
Nel 1507 fu feudo di Consalvo De Cordova e da questi passò ai Como, ai Galeota, ai Brayda, ai Miroballo e, nel 1646, ai beneventani Capobianco. Fu Laura Ciaccio Cosentina, vedova Capobianco, a comprare il marchesato di Carife, e i suoi discendenti lo tennero fino al 1810, anno dell’eversione dei diritti feudali”. I funerali si terranno domani, alle 15, nella chiesa di San Ciro.
Ai familiari tutti giunga l’abbraccio del direttore Gianni Festa e della redazione.



