Consuetamente ogni contributo – culturale, sociale o politico – di fine anno è indirizzato a fare sintesi dei fatti accaduti nel corso dell’anno concluso. Lo ha fatto anche Mario Draghi, personaggio di altissima statura, ingenerando equivoci, da più parti sottolineati, circa la sua “disponibilità” per il Colle. Qualcuno ha parlato di “grossa ingenuità politica” per aver ignorato la storia degli stratagemmi preliminari che hanno caratterizzato l’elezione di tutti i Presidenti della Repubblica italiana. La schiettezza del linguaggio di Mario Draghi non poteva non smuovere le acque fetide del pantano lessicale della partitocrazia italiana. Dal mio modestissimo angolo di osservazione, come preludio augurale per il nuovo anno, credo invece che, a fronte dei tanti sconvolgimenti planetari ancora in atto, nella necessità di volgere lo sguardo al futuro, con la fondata consapevolezza che esso dipende prioritariamente da noi, dal nostro comune e straordinario impegno di uscire dal tunnel buio quanto prima. Lungo questo itinerario certamente non facile, mi spronano le parole dello stesso Mario Draghi pronunciate durante il discorso alla Camera dei Deputati nel 18 febbraio 2021: “Serve un rapporto di collaborazione virtuoso tra istituzioni e collettività amministrate, che veda rispettato il principio di coinvolgimento attivo della cittadinanza nelle scelte e riesca ad alimentare e consolidare la fiducia nelle istituzioni, ma anche il necessario controllo sociale”. Premesso che tutti i segmenti concettuali delle tematiche draghiane affrontate sono di uno straordinario spessore politico, ritengo che il monito di Draghi più significativo sia costituito proprio dal “coinvolgimento attivo della cittadinanza nelle scelte”. Questo auspicio significa che il Pnrr debba uscire dal Palazzo dove prevalgono le convocazioni, i tavoli verde, l’allocazione teoriche delle risorse, per rispondere concretamente ai bisogni di oggi e di domani di una comunità, spesso sonnolenta e disattenta, abituata a delegare la soluzione dei suoi problemi più emergenti a color che non sempre sono all’altezza dei compiti a loro afferenti. In termini più chiari credo che in Italia esista un sapere diffuso che molto ha da dire rispetto alla grande sfida dell’innovazione. Sapere diffuso, spesso ignorato, forte del suo saper leggere i bisogni, anche quelli più nascosti, con una buona capacità di saper valutare anche l’impatto concreto che gli interventi progettuali avranno sul tessuto comunitario. Per realizzare una vera innovazione occorre pianificare una seria coprogettazione dei servizi sfruttando le necessarie sinergie tra impresa sociale, volontariato e amministrazione pubblica, attraverso un autentico scambio di esperienze e competenze non improvvisate. È questo sforzo esattamente quanto previsto dalla Missione 5 del Pnrr. Nei fatti, però, fino ad oggi il Piano è stato eminentemente una questione interna ai Palazzi. In buona sostanza è stato ignorato il monito di Draghi, all’inizio del suo mandato, ma viene anche dimenticato il ruolo di sussidiarietà circolare sancito dall’art. 118 della Costituzione quando si parla della “capacità dei cittadini di partecipare alla costruzione dell’interesse generale”. Essere, quindi, protagonisti attivi e responsabili, non semplici esecutori. Questa prospettiva è stata invocata dalla società civile, dal Terzo settore, dalle università, dalle organizzazioni di cittadinanza attiva al fine di mettere a tema la governance del Pnrr. Il nuovo anno sia l’occasione di un maggiore e concreto dialogo sociale non per una mera rivendicazione di quote di rappresentanza, ma per concretizzare le finalità previste dal ricordato art. 118 della Costituzione.
di Gerardo Salvatore