di Virgilio Iandiorio
Sono o non sono fatti nostri? Domanda che mi pongo in questo clima di resa totale e incondizionata dinanzi alla crisi generalizzata in tutti i campi. A vincere, infatti, è la rassegnazione, che il grande scrittore francese, Honorè de Balzac, definiva “suicidio quotidiano”. La fa da padrone in questa “crisi”, di cui purtroppo non si vede la fine, quell’atteggiamento rinunciatario, indifferente e rassegnato che viene spesso confuso con la libertà di scelta consapevole.
Se il giovane diplomato deve scegliere l’indirizzo di studi universitari, i genitori in genere si astengono da dare indicazioni, dicendo che il loro figlio è libero di scegliere quello che più gli aggrada. Eppure sono anche fatti loro, dei genitori. In famiglia come si discute dell’acquisto della macchina nuova (e il parere dei giovani figli è illuminante; in materia essi hanno più competenza dei loro genitori), perché non fare la stessa cosa anche per un’importante decisione, come la scelta della facoltà, confrontando pareri ed idee?
Non parliamo poi della vita politica. Molti paesi (mi riferisco a quelli della provincia irpina) vivono una condizione di silenzio, perché la gente “non vuole fare rumore”. “Non sono fatti miei” è l’espressione di rinuncia dinanzi a qualsiasi forma di mala amministrazione. Siamo diventati cittadini con la preoccupazione di non disturbare il manovratore o i suoi aiutanti. Nel migliore dei casi, cioè di arrendevole consapevolezza, l’espressione precedente può essere accompagnata da un disarmante “l’hanno voluto e se lo tengono”, il governo locale. E cala sui nostri paesi la cappa del silenzio.
Nel campo culturale le cose in provincia non è che vadano meglio. Ognuno si fa i fatti suoi, perché vale l’autoreferenzialità. Tutto quello che si produce è per “il consumo interno”, amici e familiari. Si pensa poco ad andare oltre le colline che delimitano il territorio provinciale. Non si può affidare alle sagre, simpatico luogo di aggregazione momentanea, la testimonianza della capacità culturale di un paese.
Il senso del distacco, come da cose che non ci appartengono, si nota anche nella vita religiosa delle comunità. Qui, però, sono i parrocchiani a sostenere che i problemi della chiesa locale “non sono fatti loro”, con punte di laicità alla moda e con buona pace di convegni e orientamenti pastorali.
L’elenco di situazioni emblematiche di questo comportamento potrebbe continuare. E chi più ne ha, più ne metta; ma senza generalizzare troppo. Non fosse altro per evitare, a chi vorrebbe “mettersi miezzo” di ricevere un sonoro “Fatti i c… tui”. Se cominciassimo a dire e a sottolineare che invece sono proprio “fatti nostri”?