E’ un momento di grande incognita per il gruppo Stellantis. L’atmosfera che aleggia intorno al primo, e unico, produttore di autoveicoli sul suolo italiano è pregna di preoccupazione. Senza riconversione, non c’è futuro, e a testimoniarlo sono i numeri delle vendite in rosso nella prima metà del 2024. Dati che hanno già impattato sugli stabilimenti italiani e l’indotto che attinge dall’ex Fiat.
A fabbriche chiuse, sono partite le interlocuzioni tra le principali sigle sindacali del settore, il governo e i vertici del leader dell’automotive. Tanti i temi sviscerati, ma degli ammortizzatori sociali nessuna traccia. A quasi tre anni dall’avvio, si rischia di ritrovarsi nel 2025 a un punto morto. Alla scadenza della terza annualità, non è più possibile rinnovare le misure di sovvenzione dei lavoratori. Un percorso pericoloso, nel quale, come sottolineato recentemente dal segretario generale della Fim Cisl Ferdinando Uliano, se non si dovesse intervenire per tempo, “porterebbe a licenziamenti di massa. A rischio ci sono 12mila impiegati di Stellantis ai quali vanno aggiunti quelli del settore della componentistica“. In tutto il numero si aggirerebbe intorno a quota 25mila. L’obiettivo del prossimo autunno sarà quello di reperire i fondi per attuare le misure necessarie a scongiurare tale scenario.
Se lo stabilimento irpino di Pratola Serra è fuori, al momento, da venti di crisi che spirano sempre più forti, continua a diminuire il numero degli occupati. Dopo la recente ondata di esodi incentivati, che aveva portato la fabbrica a contare 1520 operai, la quota potrebbe ancora abbassarsi. Entro fine anno si arriverà a “perdere” circa altri 100 addetti. Si toccherà il minimo storico per l’ex Fma, decisamente lontani dal record occupazionale del 2008 dove si contavano circa 1800 unità.