È un romanzo che colpisce per la forza della narrazione “Storia di Sorana” di Vincenzo Fiore, capace di mescolare generi differenti, con una forte matrice filosofica. A sottolinearlo la Dirigente all’Ite Amabile Antonella Pappalardo nel corso della presentazione al Circolo della stampa di Avellino. Pappalardo spiega come gli eventi appaiano guidati da un macchina da presa con l’autore che gradatamente solleva un velo sulla storia, in un universo in cui si affastellano menzogne su menzogne, in cui ogni personaggio indossa una maschera, per ricordarci che “ciascun essere è nascosto”. Una narrazione che si muove attraverso salti temporali che richiamano le intermittenze del cuore di Proust. Ricorda come centrale sia l’ideologia che muove l’autore, a partire dal rifiuto della categoria dell’utile, in un universo affaristico, dominato dalla permanenza dell’inautentico a cui si affianca una forte concezione deterministica, “poiché è chiaro che chi nasce a Ferentari, nella periferia di Bucarest, dove vivono gli ultimi della terra, non può avere lo stesso destino di chi nasce altrove. I posti a tavola appaiono già assegnati e nascere può essere una sciagura”.
“Appare presto chiaro – ricorda Pappalardo – che non ci sono principi e principesse nella storia e che tutto possa aggiustarsi è vuota retorica, lo stesso amore appare demistificato, come la maternità che lascia cicatrici che sono anche cicatrici dell’anima, se è vero che il figlio che aspetta Sorana dal padre le appare un mostro, ridotto a un tumore. La stessa protagonista appare ‘inabissata’, in una vita che si confonde con la morte nella quale troverà la capacità di ribellarsi. Il suicidio è l’unica scelta possibile, l’unica azione che abbia scelto veramente la protagonista”. Dal racconto di formazione al romanzo storico capace di trascendere i limiti temporali, offrendo uno spaccato della Romania di ieri e di oggi dal governo post Ceausescu ai tempi del Covid, tra pedofilia, ragazze cicogna, prostituzione e droga.
A introdurre l’incontro la giornalista Floriana Guerriero che si sofferma sulla capacità dell’autore di catturare l’attenzione del lettore attraverso l’intensità del suo personaggio femminile, che appare magnetico fin dalla sua prima apparizione nelle aule universitarie di Salerno come studentessa Erasmus, misteriosa e singolare tanto da conquistare subito Cesare, studente brillante con tanti sogni e ambizioni. “In questo romanzo ritroviamo le tante anime di Vincenzo, quella di giornalista, di filosofo e insieme di docente. Una storia d’amore in cui i due protagonisti si perderanno per poi ritrovarsi e perdersi ancora, che racconta come l’amore consegni la forza di essere migliori, il coraggio di perseguire i propri sogni come succederà a Cesare che troverà dopo la morte di lei la determinazione di lasciare la redazione dove non si sente realizzato e di portare a compimento il progetto di Sorana, un documentario dedicato agli orrori di Ferentari, alla periferia di Bucarest”.
È il direttore del Corriere dell’Irpinia Gianni Festa a sottolineare come Vincenzo Fiore consegni una pagina dolorosa della storia moderna attraverso il ritratto delle contraddizioni della Romania, nel difficile periodo di transizione, dopo la caduta del regime e ribadisce l’importanza di una città che sappia far sentire la propria voce, reagire alla sonnolenza imperante, mettere da parte la logica delle feste e guardare al bene comune. “È oggi necessario investire sulle nuove generazioni. È questa l’Avellino che mi piace, quella che partecipa, che si confronta su cultura e società”.
Vincenzo Fiore ricostruisce lo sfondo storico che caratterizza il romanzo a partire dal decreto 770 imposto da Ceausescu che imponeva alle donne in età fertile di avere almeno 4 figli, con la donna ridotta a strumento del partito e un altissimo tasso di infanticidi. “Un orrore a lungo nascosto – prosegue Vincenzo – e scoperto solo grazie alla caduta del regime. Ad emergere sarà la realtà di tanti ghetti, come quello di Ferentari, dove vivevano bimbi senza genitori, costretti alla fame, a sniffare droga per sopravvivere
“.
Di grande interesse gli interventi del pubblico come quello di Antonia De Mita che sottolinea come incontri come questo “facciano ben sperare sul futuro della città, rievocando il fervore culturale che caratterizzava un tempo la città di Avellino e che appare oggi perduto”.