di Rosa Bianco
C’è un punto in cui la voce si arresta e il silenzio comincia a parlare. È lì che “Tacer cantando…” ha trovato la propria verità. Non un semplice spettacolo, ma un’esperienza dell’anima: un incontro tra parola e suono, tra l’essere e la sua mancanza, tra ciò che si dice e ciò che rimane indicibile.
L’evento, ospitato dalla Associazione Musicale Igor Stravinsky, ieri sera, presso la Sala delle Arti di Manocalzati, ha rappresentato un atto di meditazione metafisica: attraverso il dialogo impossibile tra Maria Callas e Pier Paolo Pasolini, ha reso udibile l’invisibile, trasformando la memoria in suono e l’assenza in presenza.
Il silenzio come verità del canto
“Tacer cantando” — espressione che affonda le radici nel linguaggio verdiano di “Piangea cantando” — ha rovesciato la prospettiva consueta dell’arte: non più la voce che si impone, ma quella che si ritrae. In quel ritrarsi, il canto ha rivelato la propria essenza più pura.
Il silenzio, allora, non è stato mancanza, ma condizione originaria della musica stessa. Come nella filosofia di Heidegger, dove il linguaggio “parla nel tacere”, così la Callas e Pasolini hanno comunicato nel non detto, nel margine sospeso tra parola e suono, vita e mito.
Callas e Pasolini: due archetipi del tragico moderno
L’una, la voce assoluta; l’altro, la parola ferita. Maria Callas e Pier Paolo Pasolini si sono riconosciuti nel destino tragico di chi cerca l’assoluto in un mondo che non lo ammette più. La loro relazione – reale, epistolare, spirituale – è stata evocata nel reading attraverso testi e lettere che hanno rivelato la tensione tra eros e arte, tra desiderio e rinuncia.
Pasolini, nel film Medea, tolse a Maria la voce per restituirle l’umanità. Fu un gesto profondamente filosofico: l’artista che rinuncia al proprio strumento per ritrovare l’essenza dell’essere. In quella afonia voluta, Callas non è più “la Divina”, ma la donna che soffre, che ama, che è.
L’interpretazione come atto di pensiero
A incarnare la voce di Pasolini e il respiro del pensiero è stato Enzo Decaro, che ha trasformato la recitazione in meditazione, l’attore in testimone. La parola, nel suo dire misurato e vibrante, ha accompagnato le sonorità di Samantha Sapienza, soprano dalla presenza lirica e intensa, e di Nadia Testa, raffinata pianista e curatrice del progetto, che ha dato forma e struttura al dialogo tra mito e memoria.
E’ stato restituito al gremito pubblico, che ha affollato la sala, un percorso musicale che ha attraversato Verdi, Bellini, Cherubini, Puccini e Mascagni: da “Casta Diva” a “Vissi d’arte”, da “Un bel dì vedremo” fino all’Intermezzo di Cavalleria rusticana.
Sono state scelte e proposte, quindi, quelle pagine immortali che hanno consacrato Maria Callas nell’eternità, ma che in questa occasione si sono ascoltate come confessioni intime, come frammenti di un diario in musica.
Arte, memoria e verità
In “Tacer cantando…” la memoria non è stata un ritorno nostalgico, ma un atto di presenza. Ricordare Callas e Pasolini ha significato restituire al tempo la dignità dell’istante.
E così, ieri sera , la musica ha cessato di essere intrattenimento per tornare ad essere pensiero, rivelazione, aletheia — disvelamento.
Il pubblico non ha assistito a un concerto, ma ha partecipato a un rito: l’incontro tra due anime che hanno incarnato la contraddizione del Novecento — l’impossibilità di conciliare il sogno con la realtà, l’arte con la vita, la parola con il silenzio.
“Tacer cantando…” ha mostrato che l’arte più alta non è quella che riempie il mondo di suoni, ma quella che restituisce al silenzio il suo diritto di essere ascoltato.
Maria Callas e Pier Paolo Pasolini, nell’eco delle loro voci spezzate, hanno continuato a interrogarci: che cos’è davvero l’amore, se non un dialogo tra due silenzi che si riconoscono?
E in quel tacere che canta, abbiamo ascoltato il suono più profondo dell’essere.