di Virgilio Iandiorio
Se è vero che ogni giorno siamo chiamati a fare delle scelte, piccole, grandi o minime che siano, quella che ci si presenta oggi è la più difficile, perché riguarda la nostra fede e il nostro essere cristiani e cattolici. Basta guardarsi intorno, nella comunità in cui si vive, per toccare con mano l’indifferenza a tutto ciò che ha a che fare con il nostro credo religioso. A meno che non si tratti di cerimonie funebri, matrimoni e processioni, le chiese si vanno sempre più svuotando di fedeli. Perché la fede si riduce a evento, come uno spettacolo mondano o televisivo.
E’ trascorso un secolo e mezzo dalla morte di Teresa Manganiello, avvenuta a Montefusco il 4 di novembre 1876, ma non molti anni dalla sua beatificazione solenne il 22 maggio 2010. Dal materiale raccolto per il processo canonico emerge la figura di una giovane donna (Teresa morì all’età di ventisette anni, era nata a Montefusco il 1gennaio 1849) che aveva manifestato la sua fede a gente umile, ai suoi familiari ai suoi compaesani, ai religiosi e ai forestieri.
Eppure Teresa Manganiello ha stupito molti di noi posteri per il suo essere “analfabeta”, come se questo fosse più che sufficiente per innalzarla agli onori degli altari. Che cosa sarebbe accaduto se Teresa fosse stata laureata, perfino intellettuale, se avesse studiato, o parlato più lingue? Se non avessimo pregiudizi di questo tipo, non avremmo sottolineato con insistenza questo motivo della sua ignoranza delle lettere, come pure si è fatto. Il prof. Fausto Baldassarre, che ha contribuito più di tutti a far conoscere questa santa, l’ha chiamata “La merlettaia di Dio”, con riferimento all’arte del ricamo praticata nel suo paese di origine.
C’è qualcosa che sfugge all’attenzione di noi uomini e donne del ventunesimo secolo, interessati più a ricevere i “like” sul nostro profilo face book che a scoprire il Dio che è in noi e che ogni giorno è intorno a noi. Forse non sappiamo dove cliccare il nostro “like” sul suo profilo infinito ed eterno.
Il messaggio che Teresa Manganiello ha voluto comunicarci, la testimonianza di fede che ha voluto lasciarci in eredità, si può così riassumere: Gesù è venuto a rivelarci il segreto per essere felici nell’amore. Felicità e gioia non sono dei sinonimi. Le parole, felicità e gioia, che sembrano esprimere la stessa cosa in effetti hanno origini e “storia” diverse: la prima è la contentezza per ciò che appare ben riuscito o concepito, della seconda, cioè la gioia, esperienze di laboratorio hanno dimostrato che essa sia innata in noi e non acquisita.
E se non riusciamo a gridare al mondo che Gesù è venuto per donarci la sua gioia, è perché non lo crediamo fino in fondo. La mamma esprime al suo bambino con gioia l’affetto che gli porta e che manifesta in tutti i modi e in ogni momento, e il bambino la ripaga con gioia, dimostrandole il suo bene con un bacio o con un sorriso.
Se pensiamo che la morte può venire in ogni istante della nostra vita, dovremmo cadere in una depressione profonda. Proprio per questo il messaggio evangelico ci invita a continuare a vivere, giorno dopo giorno, senza smarrire la nostra umanità, e donando con gioia la vita e la speranza, che è virtù divina.



