“Alla nostra generazione manca un pizzico di sano coraggio, facciamo fatica a prendere decisioni, siamo immobili, poco intraprendenti, siamo come l’acqua che ristagna. E’ come se non riuscissimo a prendere coscienza della finitudine della nostra vita. Ci nascondiamo dietro stupide paure ma se a 50 anni non troviamo la forza di essere onesti con noi stessi, di vivere al meglio la nostra vita, quando ci riusciremo?”. Lo sottolinea lo scrittore partenopeo Lorenzo Marone, ospite alla libreria Mondadori di Avellino, in occasione della presentazione del suo romanzo “Ti telefono stasera”, Feltrinelli, storia di un padre e di un figlio che riescono a ritrovarsi. A dialogare con lui la blogger Cristina Di Matteo. Poichè tutto cambia nella vita del protagonista Giò, quando l’ex moglie parte per lavorare un anno all’estero e lui si ritrova, dopo tanto tempo, a vivere con suo figlio: Duccio, nove anni, saggio e ingenuo al tempo stesso. “La generazione di noi cinquantenni è arrivata tardi a tutto- spiega Marone – compresa la paternità. Ed essere padre di un bambino è complicato, siamo la prima generazione che deve prendersi cura dei bambini e dei genitori anziani, mentre è nel pieno della propria attività lavorativa”. Confessa come “In tanti abbiamo dovuto fare i conti con genitori anaffettivi o che comunque faticavano ad esprimere i propri sentimenti. Di qui il tentativo di colmare il vuoto che ci hanno lasciato, finendo per fare altri errori. Ma sempre meglio fare altri errori e rompere quegli ingranaggi che ripeterli all’infinito. Ascoltavo nei giorni scorsi una canzone di Caparezza e mi sono ritrovato perfettamente nelle sue parole, è come se mi sentissi improvvisamente vecchio e non riuscissi più a capire il mondo in cui vivo. Mentre non riesco a ritrovarmi nella voce di altri scrittori contemporanei, mi sembra che nessuno sia riuscito fino ad ora a raccontare le difficoltà che vive la mia generazione e così ho provato a farlo io”. Un libro che “nasce dalla volontà di tornare al tema della commedia per affrontare, però, un tema importante in questo momento storico come la paternità” e si fa elogio dell’imperfezione “Ciò che ci rovina è proprio la rincorsa della perfezione a tutti i costi. Ecco perchè mi sembrava che fosse più rappresentativo della mia generazione un padre imperfetto come Giò, anche se, in fondo, non corrisponde del tutto alla realtà. I padri di oggi sono molto più presenti rispetto al passato e rispetto allo stesso protagonista ma fanno comunque disastri. Al tempo stesso, mi piaceva l’inversione dei ruoli tra padre e figlio a cui si assiste nel romanzo e spesso anche nella vita reale, da un lato ci siamo noi genitori che continuiamo a crescere e cambiare, dall’altro ci sono i nostri ragazzi che sono molto più avanti dei oro coetanei di un tempo e molto spesso di noi. Del resto, è sempre più difficile educare i nostri figli in una società che è sempre più presente nella nostra casa, a partire dai cellulari. E sembra privo di senso anche qualsiasi tentativo di fermare questa invasione da parte del mondo esterno, impedendo ai ragazzi di usare cellulari o di collegarsi ai social”. Sul futuro che ci attende, confessa di essere molto pessimista “Viviamo in una società che ci ingabbia, presi da una vita sempre più frenetica, senza relazioni vere. E’ sconcertante a 50 anni non riuscire più a comprendere il mondo, poiché tutto cambia sempre più velocemente ed è difficile anche proteggere i nostri figli che passano le loro giornate a scrollare post sui social. Ci si sente impotenti di fronte a un mondo inarrestabile”, Non ha dubbi, però “L’unico presidio che ci è rimasto sono le librerie, gli spazi di cultura. Eppure anche la cultura appare oggi quasi una presenza da relegare ai margini, poichè come diceva Battiato, tutto deve essere cazzeggio, tutto è ridotto a intrattenimento”. Spiega di aver cominciato questo testo quando non ero genitore, “poichè si può essere genitori anche senza esserlo realmente, per poi riscriverlo successivamente. Cerco sempre di scrivere romanzi autentici, questo libro, nasce, poi, in un momento difficile della mia vita in cui non riuscivo a vedere mio figlio. Una persona che attraversa un’esperienza del genere, se è uno scrittore, non può non raccontarlo”. Una riflessione carica di ironia in cui ad accompagnare Giò c’è un campionario di personaggi irresistibili come l’amico Paco Meraviglia “ispirato al mio amico avellinese Pasquale, che ho conosciuto a Stromboli in occasione di un laboratorio di scrittura. Con il suo sguardo carico di meraviglia ed entusiasmo, mi convinse persino a scrivere una cartolina a mio figlio. E’ un personaggio romantico che riesce ancora ad emozionarsi per ciò che è semplice, un fiore che sbuccia sul cemento, che crede con tutto sè stesso nell’amore”. Sottolinea come “la famiglia assume nuove forme ma sempre famiglia rimane, a comporre questo nucleo familiare che protegge il piccolo Duccio, ci sono insieme a Giò, l’amico Paco e la sorella del protagonista, reduce da due matrimoni falliti, con il figlio e la sua gatta, appassionata di talent”. Per ribadire che “essere padre significa anche un po’ nascondere, celare e non è sempe facile”.




