“Le piogge intense seguite da ondate di caldo e le rotte migratorie degli uccelli, che hanno favorito la proliferazione delle zanzare e l’amplificazione del ciclo di trasmissione del virus West Nile”. A commentare la diffusione della malattia da febbre del Nilo, anche alla luce dei nuovi contagi verificatisi in Campania, è la Società Italiana di Medicina Veterinaria Preventiva, che sottolinea come “questo virus sia un esempio chiaro di quanto la salute umana, animale e ambientale siano interconnesse”.
In Italia, il virus è endemico, in particolare in Emilia-Romagna e Veneto mentre recente è il cluster epidemico in Campania, “che conta già alcune centinaia di casi asintomatici, considerando che solo l’1-2 % delle infezioni provocano il ricovero ospedaliero. Il problema è che i sintomi sono spesso lievi o assenti, per questo è difficile stimare la reale diffusione del virus”, afferma Antonio Sorice, presidente Simevep. Quel che è certo è che “solo un approccio One Health può garantire una risposta efficace, fondata su sorveglianza integrata e collaborazione multidisciplinare”.
Dal 2018 sono stati notificati oltre 247 casi umani autoctoni di forme neuro-invasive. Il Piano nazionale di prevenzione arbovirosi 2020-2025, promosso dal Ministero della Salute, prevede una sorveglianza integrata uomo-animale-ambiente. Fondamentale il ruolo dei Servizi Veterinari, che monitorano la presenza del virus in uccelli selvatici, cavalli e zanzare, segnalando precocemente le zone a rischio. “In alcuni casi il virus è stato rilevato nei vettori anche nove giorni prima del primo caso umano, a dimostrazione dell’efficacia della sorveglianza veterinaria”, sottolinea Maurizio Ferri, coordinatore scientifico di Simevep. I dati raccolti vengono condivisi in tempo reale con il Centro Nazionale Sangue e il Centro Nazionale Trapianti per attivare misure di sicurezza su donazioni e trapianti.