E’ un appello a unire le forze sulla scia della lezione di Croce, un appello a chiunque si riconosca nei valori della civiltà cristiana quello che lancia l’onorevole Ortensio Zecchino, presidente del Centro di ricerca Biogem, già ministro dell’Università e della ricerca. Il 13 luglio, alle 18, presenterà a Grottaminarda, nei giardini del castello D’Aquino, il suo nuovo volume ‘Perché non possiamo non dirci “cristiani”. Lettere e dispute sul celebre saggio di Benedetto Croce’, edito da Rubbettino, nell’ambito del ciclo di incontri “Cultura é libertà” promossi in collaborazione con il Centro Dorso. Interverranno il sindaco di Grottaminarda Marcantonio Spera, Maria Rosaria Covelli, presidente della Corte d’appello di Napoli, Nicola Covino, vicepresidente Ordine avvocati Benevento, Berardino Zoina del Centro di ricerca Guido Dorso, Virginia Pascucci, presidente del Consiglio comunale. A introdurre l’incontro Emanuela Ianniciello, dottore di ricerca in diritto penale, Gaetano Carlizzi, giudice presso il Tribunale militare di Napoli, Marco Miletti, ordinario di storia del diritto. L’incontro è promosso dal Comune di Grottaminarda, il Centro Dorso e l’Ordine degli avvocati di Benevento
Perchè rileggere oggi la lezione di Croce a partire dal suo saggio “Perchè non possiamo non dirci cristiani”?
Il saggio ha avuta una quantità infinita di interpretazioni, la mia si affianca, dunque, a una lunga serie di contributi dedicati allo studio di Croce. Due sono le letture che consegna questo testo, una spirituale, perchè Croce era un uomo profondamente religioso, anche se la cosa può sorprendere. Non era credente ma dichiara più volte di essere religioso, convinto della necessità di abbracciare una religione, sia essa filosofica e trascendente. Non dimentichiamo che è stato il più fiero avversario del positivismo, era un’anima sofferta, non era il filosofo pago delle sue teorizzazioni, la sua convinzione era che la storia evolve sempre nel senso dell’affermazione della libertà ma questa concezione comincia presto ad entrare in crisi. Il suo sentimento religioso è una costante ricerca dell’assoluto. Ad emergere è, dunque, la necessità di vivere spiritualmente. Non c’è altra strada, Il saggio fu scritto nell’agosto del ’42 in una notte insonne, nella Napoli devastata dalle bombe, si respirava la sensazione della fine della civiltà. Il suo ottimismo storicista cominciò a vacillare, si rese conto che potevamo essere vicini alla catastrofe del mondo. In queste tenebre intravede una sola luce, il ritorno al senso cristiano come filosofia dell’amore e della fratellanza.
Un saggio, quello di Croce, che si carica anche di una forte valenza politica
Nel buio di quel momento Zecchino si interrogava sulle speranze per l’umanità di riprendere strada della civiltà e su chi affidare queste speranza. Nel 1932 scrive la Storia d’Europa, messo all’indice dalla Chiesa, poichè era un testo in cui il cattolicesimo era bollato come illiberale, nella convinzione che il dogmatismo della chiesa comprima la libertà. Successivamente comincia a fare qualche distinguo, non condannando in toto il mondo cattolico liberale. Non amava i democristiani che considerava troppo vicini al Vaticano ma nutriva una forte stima per Sturzo e De Gasperi, suo grande amico Di qui l’appello a a cattolici e liberali a unire le forze, un appello rivolto a tutti gli amanti della libertà, anche per contrastare l’incombente potenza comunista. Era stato tra i pochi ad aver bocciato il comunismo sovietico come antilibertario. Di qui l’idea della necessità di ripartire dai valori della civiltà cristiana, dove cristiana non significa appartenenza a una fede ma a una storia, significa rendere omaggio a quello che la storia ha determinato, sono valori che appartengono a tutti coloro che si sentono liberi. Una lettura questa che è stata oggetto di molte controversie ma che sostengo con forza
Ritiene che anche oggi sia necessaria questa unità delle forze liberali e cattoliche?
Sono due filoni del pensiero che convergono sull’obiettivo della libertà di coscienza, due pilastri della civiltà di ieri e di oggi. Pilastri che non possono certo essere rappresentati dalla cultura comunista o dalla cultura radicale dei diritti individuali che rischia di annullare il senso comunitario. Poiché la libertà non può essere un assoluto, deve vivere in un quadro di valori. Il punto debole delle democrazie è che non possono vivere solo di numeri elettorali, poiché i numeri non creano quell’amalgama necessaria, ci vuole un minimo comune denominatore, che può essere rappresentato dall’appartenenza alla civiltà cristiana. Lo stesso Sturzo era il più laico di tutti. Ancora oggi, dunque, l’appello a unire le forze è rivolto a colore che nutrono questo senso di appartenenza alla civiltà cristiana, quella che noi ci trasciniamo da duemila anni a partire dal messaggio evangelico. Non parlerei di cattolici perchè la civiltà cristiana può riguardare anche un non credente o un non cattolico. Diventar fondamentale rifondare o rafforzare il senso di appartenenza
Ma le democrazie sono davvero in crisi?
Si perché manca un comune sentire di fondo, viviamo una condizione di disgregazione, le società sono atomizzate ognuno vive le sue pulsioni e vorrebbe elevarle a diritti, le forze centrifughe prevalgono su queste centripete, si è persa la funzione di aggregazione che caratterizzava ogni comunità
Nelle scorse settimane ha inaugurato le celebrazioni legate agli 80 anni della Dc. Perchè ritiene che quella della Dc sia una storia da riscrivere?
Il tempo sta facendo rimpiangere a tanti la Dc, una stagione che era passata per un tempo di dannazione, mentre tanto più se ne allontana, tanto più se ne apprezza lo stile. Oggi viviamo su ciò che ha costruito, su tutte le fondamenta che ha posto De Gasperi, ecco perché dobbiamo ritornare a questa radice per riscoprire il suo contributo alla costruzione della storia del paese ma anche i suoi lati oscuri e la ragione delle ombre della Dc. Un partito che è stato costretto, inchiodato al potere, anche contro la sua volontà, perché non esisteva un’alternativa democratica accettabile