di Giovanni Coppola
Il crollo del regime di Mussolini e la conseguente decomposizione di una dittatura che dal 1935 aveva trascinato il Paese in un ciclo quasi ininterrotto di guerre colse la maggior parte degli italiani completamente impreparati. Volenti o nolenti, il fascismo li aveva allevati, educati e, per certi versi, forgiati. Li aveva presi con la forza all’età di sei anni, imponendo loro l’uniforme da balilla mentre a molti maggiorenni gli aveva fornito una divisa con la camicia nera, gli stivali da poliziotto, una pistola e il mitra. Avevano cantato “Giovinezza giovinezza primavera di bellezza”, oppure “Duce Duce tu sei la luce, fiamma tu sei nel cuore”. Improvvisamente, il 25 luglio, videro abbattere a martellate i simboli e le insegne del fascismo, mentre nelle piazze venivano elencati gli errori e le nefandezze del fascismo, uno ad uno, di colpo, si scoprirono tutte le malefatte di un regime corrotto e violento.
Per quanto riguarda la mia famiglia, la piega che doveva prendere la Storia d’Italia in quel particolare momento lo scoprì molto presto. Già alle elezioni del 6 aprile 1924, le ultime multipartitiche a sovranità popolare svoltesi in Italia prima dell’avvento della dittatura fascista, un mio zio l’avv. Michele Contardi di San Sossio Baronia, risultò primo eletto in provincia di Avellino nella lista amendoliana di opposizione costituzionale denominata “Stella”, in un clima di intimidazione e aggressioni fisiche. A casa conservo la locandina elettorale di mio zio stampata appositamente per quelle famose elezioni e due telegrammi: il primo scritto il 5 aprile da zio Michele e indirizzato al Prefetto il giorno prima: “Oggi fascisti militi di Mirabella Eclano armati di rivoltelle, pugnali e manganelli senza alcuna provocazione circondavano mia abitazione rompendo serratura portone, entravano facendomi violenza. Protesto mondo civile atto barbarie che disonora l’Italia”; il secondo telegramma è scritto, invece, il 6 aprile sempre da Carife da Pasquale Contardi, notaio, fratello di Michele, che scrive direttamente a Mussolini: “Fascisti locali di San Sossio Baronia hanno sequestrato mio fratello. Protesto contro inqualificabile arbitrio denunziandolo a V.E. affinché sia subito provveduto”. Notoriamente tutti e due i fratelli erano persone che non conoscevano cosa fosse la paura e appena ce ne fu occasione lo dimostrarono. Zio Michele morì nel maggio del 1940, nella cappella di famiglia sulla sua lapide a Carife venne inciso un fiero quanto raro epitaffio: “Antifascista”.
Così, quando arrivò l’8 settembre 1943 e i vari corpi armati si sciolsero come neve al sole rimanendo senza ordini, facili prede dei tedeschi, arrivò l’ora della scelta. Non fu comunque scontata, sia chiaro, per una generazione che aveva vissuto la maggior parte del tempo sotto una rigida dittatura e aveva ascoltato una sola voce. Settembre, ottobre, novembre, dicembre 1943, le prime avvisaglie della guerra civile si facevano già sentire. Bisognava agire, farlo in fretta poiché non c’era più tempo, tra il fascismo che risorgeva e la ribellione antifascista, tra la Repubblica Sociale di Salò e il Comando di Liberazione Nazionale. C’era anche una terza via, quella dell’indifferenza, dell’attesa, e molti la scelsero, alcuni per viltà, altri per semplice prudenza verso sé stessi e le proprie famiglie. Mio padre scelse di combattere e, da ormai ex ufficiale di polizia, partecipò attivamente in Piemonte, proprio dove i combattimenti erano più duri. Militò presso il Comando Militare “Zona Valsesia” come vicecomandante del 2° Battaglione Sabotatori della 81ª Brigata “Volante Silvio Loss”, 3ª Divisione Garibaldi “Gaspare Pajetta”, con il nome di battaglia “Nino”, tessera n. 229. Sul foglio matricolare del Comando Volontari della Libertà, recuperato presso l’A.N.P.I. di Novara, si legge che il partigiano Aniello Coppola, nato a San Sossio Baronia il 10.2.1918, comandante del 2° Battaglione Sabotatori: “Il 12 febbraio 1945, alla testa di 30 uomini assaltava il presidio fascista di Oleggio (NO)”. Catturato a seguito di una delazione dieci giorni dopo l’attacco, per uno scambio di prigionieri datato 26 febbraio 1945, il nome di Aniello Coppola compare con l’indicazione del luogo e della data di cattura, cioè Suno (NO) il 19.02.1945 e del luogo di detenzione, le famigerate carceri nazifasciste “Le Nuove di Torino”. Ma purtroppo non fu scelto dal Comando nello scambio tra le persone da liberare e rimase in carcere nel famigerato primo braccio tedesco gestito dalle SS fino alla Liberazione.
Per quest’insieme di ragioni, il 25 aprile rappresenta per me un giorno speciale, sento che mi riguarda, però vorrei pensare che appartenga anche a tutti coloro che lottano contro l’ingiustizia e l’oppressione, ogni volta che il desiderio di libertà e giustizia è forte. Da quell’incontro con la Storia, per il quale giovani donne e giovani uomini si fecero trovare pronti, sfidando il freddo, la fame e i continui pericoli per difendere i loro ideali e con essi i sogni di un futuro migliore, è nata l’Italia libera, democratica, repubblicana, operaia e antifascista di oggi. Valori sanciti uno ad uno nella Carta Costituzionale e scolpiti nei vari articoli che la compongono in cui c’è dentro tutto il nostro recente passato, tutta la nostra anima, la stessa che ci ha liberato dalle guerre e dalla cancrena del nazifascismo.