Sfogliamo la collezione del giornale con l’intento di raccontare l’anno che va via. Nelle pagine vi ritrovo soprattutto paura, terrore, preoccupazione per questo maledetto morbo, il Covid-19, che con un colpo di coda sta segnando le ultime ore del 2021. Siamo diventati prigionieri dell’altrui irresponsabilità. Quei no vax che si pentono in punto di morte per non aver voluto sottoporsi a vaccinazione. Ed è questa arroganza malefica che ci fa stare in pena, rendendo fragile la nostra esistenza. Vorremmo, ma non possiamo. Anzi non dobbiamo. Mascherine, gel disinfettante, distanziamento sono entrate con prepotenza nel vocabolario di quest’anno. Gli ospedali pullulano di dolore, mentre i dubbi assalgono la mente. I virologi, mai d’accordo tra loro, gettano ombre sull’incerto futuro. La fantasia cerca spiegazioni. Sul mercato dei vaccini, dei tamponi, dei presidi sanitari che vengono proposti nel nome del dio affare. Su tutto, una speranza. Che tutto questo possa avere un termine.
Intanto l’anno che chiude le porte ha segnato la sconfitta della politica dei partiti, responsabili di aver portato il Paese molto vicino al baratro. L’Italia ha retto grazie alla saggezza di Sergio Mattarella che chiamando Draghi alla guida del governo ha ribaltato la situazione. La maggioranza dalle larghe intese è stata la mossa vincente che ha posto fine ai litigi tra le forze politiche. Tuttavia la serenità vacilla. L’ampio dibattito alla vigilia della scadenza per l’elezione al Quirinale sta rimettendo in moto non poche contrapposizioni, riproponendo l’antico schema del potere dei veti dei partiti. Di qui il riproporsi della necessità e l’urgenza di un processo riformistico per una garanzia di stabilità dei governi del Paese. In realtà anche su Draghi si addensa qualche ombra. Ad una nazione impaurita dagli effetti della pandemia, e per questo distratta da tutto il resto, il premier, pur avendo consegnato determinazione e certezza (puntando anche sull’indiscusso prestigio internazionale ed europeo), ha incontrato difficoltà per conquistare il valore della pace sociale che è ancora tutta da costruire. Non a caso gli aumenti dei costi per l’energia (gas, luce, ecc) stanno generando un fermento popolare per niente trascurabile.
Il 2021 è stato l’anno della grande speranza della rinascita. Come fu nel dopoguerra con il Piano americano Marshall, utilizzato per la ricostruzione del Paese, stavolta è l’Unione europea che con il Recovery fund scende in campo per rilanciare la ripresa. Si tratta di una straordinaria occasione per nutrire la debole economia e aiutare le casse dello Stato. In parte alcune iniziative sono già state avviate, mentre permane una generale confusione a livello locale nell’individuazione di progetti globali finalizzati anche a far diminuire le distanze tra le diverse aree del Paese. Le maggiori difficoltà, nonostante la buona volontà del ministro per il Mezzogiorno, si incontrano proprio al Sud. La classe dirigente non è adeguata per la sfida che propone l’Europa. Avranno pur ragione gli amministratori locali che denunciano l’assenza di adeguate strutture burocratiche ai fini delle progettazioni, ma il dato reale riguarda l’incapacità di una visione complessiva dei progetti che non possono avere come riferimento il singolo campanile, ma una realtà più vasta. Una volta tanto la logica dei finanziamenti si ribalta. Fino ad ieri era la richiesta di fondi per realizzare progetti e aprire cantieri, oggi, invece, i fondi sono disponibili mentre è assente la visione per la loro utilizzazione. E qui torna il discorso sul ruolo della classe dirigente e della mentalità arcaica che ancora oggi nel Sud la contraddistingue. Con queste riflessioni diamo l’addio all’anno che si chiude, augurando che quello che sta per iniziare possa consegnare serenità, pace e buona salute.
di Gianni Festa