di Gianpaolo Palumbo
Maria Loreta Chieffo con la sua nuova fatica letteraria ritorna al proprio paese: Zungoli; che non ha mai lasciato. Lo fa sempre, soprattutto da quando ha ambientato proprio nella cittadina alta irpina, i suoi romanzi gialli. Anche in questa occasione si tratta di un’avventura con delitto, difficilissimo da trovare il colpevole.
Il suo è un ritorno senza malinconia, solo condito da affetto, grazie ai legami con i “posti” in cui è cresciuta, in cui ha fatto le prime amicizie, le prime passeggiate. I suoi ricordi, i suoi mondi incantati e disincantati. Anche gli odori ed i profumi di un tempo ritornano. Ritornano nella sua Zungoli, nelle sue radici cresciute in un mare di ricordi, sempre vivi, sempre resi attuali. I primi dieci anni della sua vita vengono ribaltati all’oggi grazie alla bravura di scrittrice che ha il grande pregio di esprimersi con comprensibile chiarezza. Anche con questo “noir” Maria Loreta dà ragione a Marcel Proust quando affermava: “Non è possibile separare la nostra vita dalle nostre opere”.
Il testo è tutto ben amalgamato, diverte ed appassiona con naturalezza e semplicità. Rappresenta una impegnativa “natura morta”, dipinta con la tecnica leggera e piacevole dell’acquarello.
I protagonisti sono gli stessi del primo giallo (“Non è di qua”), anche nei nomi, nei tic, nelle loro espressioni. Anche la protagonista (Ida Di Maggio, giornalista di cronaca del quotidiano “Il mattino” di Napoli) è cambiata poco, nonostante un matrimonio ed un figlio alle spalle. Sempre vera giornalista, vera criminologa, che riesce a mettere tutti i tasselli del puzzle relativi al decesso di una venticinquenne, tutti al loro posto.
Ida risolve il giallo con il suo grande intuito, trasferendo al lettore emozioni e continui colpi di scena, facendo sempre in modo che la narrazione abbia un ritmo ed una scorrevolezza notevoli. Maria Loreta Chieffo si immedesima nella giornalista e riesce a scoprire la verità sulla morte della giovane precipitata (in realtà fatta precipitare) dalla torre del castello normanno di Zungoli.
La scrittrice, quindi, trasforma un sicuro suicidio in un omicidio, valutando ogni piccolo particolare che ascolta dai suoi compaesani che non vorrebbero che tante cose abbastanza brutali avvenissero in un borgo dove la gente vive di calma e di tranquillità.