Di Vincenzo Fiore
Liberati dall’idea di Dio, i discepoli di Zarathustra si misero a venerare un asino. Abbattute le antiche divinità, gli uomini restano incatenati al loro ineliminabile sentimento religioso, che, come un parassita, si attacca a qualsiasi surrogato. Lo sapeva bene Nietzsche, quando auspicava di vincere anche l’ombra di Dio, che continuerà a essere additata nelle caverne e non smetterà di emanare il suo odore. Ne è consapevole, in fondo, anche il poeta Nicola Vacca del fatto che la morte di Dio non è ancora un evento di massa, ma, nonostante ciò, nei suoi versi spietati non c’è assoluzione per qualsiasi forma di catechesi. A una prima lettura le pagine appaiono blasfeme, le parole crude, sembra quasi che il poeta voglia vendicarsi di chi, nei secoli, ha perpetuato in ginocchio la bugia più grande.
Nessun perdono neanche per quel Dio silenzioso – nel testo scritto rigorosamente in minuscolo, la cui autorità è risparmiata a volte solo dalle necessità della grammatica – che ha taciuto sugli orrori della storia, anzi, per il quale si sono moltiplicati martiri e assassini. Se esistesse, ravvisa Vacca, dimenticate gli attribuiti stilati con minuzia dai dotti medievali, Egli assomiglierebbe invece al creatore malvagio dell’eresia bogomila, al funesto demiurgo descritto da Cioran. Proprio ripensando al filosofo romeno, una costante di riferimento nel libro, insieme al già citato Nietzsche, ad Artaud e a Carmelo Bene, viene naturale menzionare l’aneddoto relativo a Lacrime e santi. Di quella raccolta di aforismi profanatrice, la madre di Cioran si rammaricò di non essere morta prima della sua pubblicazione, mentre il figlio la considerava il testo più religioso mai pubblicato nei Balcani. In un certo senso, Il libro delle bestemmie contiene intrinsecamente in sé la stessa scissione interpretativa, poiché all’occhio del lettore attento apparirà forse chiaro che, per Vacca, vale lo stesso vecchio adagio secondo cui, forse, a dare più credito a Dio sono coloro che paradossalmente non riescono più a credere in Lui. La solitudine dell’uomo gettato nel mondo è la stessa di Cristo sulla croce, non c’è consolazione per chi varca il grembo materno, è scritto anche nella Bibbia, precisamente nel Libro di Giobbe. Nessuna preghiera è mai servita a salvare il mondo, allo stesso modo ogni imprecazione è un urlare contro il nulla. Persino queste poesie – è Vacca stesso a scriverlo alla fine – hanno il sapore di una rivolta senza senso, l’esistenza è un labirinto e la via d’uscita è un’illusione per ingenui. Non resta che continuare ad alleviare la vita con il supporto dei buoni versi, così come un ubriaco crede ancora nell’ultima goccia in fondo alla bottiglia.