Quando gli indiani d’Amerca andavano in battaglia si coloravano il viso ma spesso anche dopo la guerra combattuta il giallo, il blù o il rosso restavano impressi sulla loro pelle. Insomma il colore non se ne andava. Sta accadendo anche nella politica italiana. La battaglia referendaria si è conclusa ma “i colori della guerra” sono ancora addosso a chi l’ha combattuta. Si guarda al futuro con una certa ansia e dunque è meglio concentrarsi ancora sul presente. La giornata di ieri che ha portato all’apertura formale della crisi di governo ha camminato su un doppio binario la direzione del partito democratico e l’approvazione della manovra economica al Senato. Appuntamenti che conducono ad uno sbocco però ancora nebuloso. Il protagonista principale nel tentativo di far deporre l’ascia di guerra e trovare un nuovo equilibrio politico è il Presidente della Repubblica. Sergio Mattarella si trova a pilotare la prima vera sfida davvero improba del suo settennato. Ha pochi margini di manovra. Il PD da cui deve partire è un partito sempre più diviso dove Renzi resta segretario e preme per il voto anticipato oppure per un governo di larghe intese che faccia innanzitutto una nuova legge elettorale. La preoccupazione del Quirinale è quella di una campagna elettorale permanente. Matteo Renzi però, che un anno fa ebbe la malaugurata idea di trasformare il referendum costituzionale in un plebiscito su se stesso non rendendosi conto che non esiste governo nelle democrazie occidentali che potrebbe sopravvivere ad un voto secco dopo mille giorni, è in cerca di una immediata rivincita. Una accelerazione che però deve tener conto di alcuni fattori. Vale la pena di ricordare che in caso di nuove elezioni immediate bisognerà capire con quale legge elettorale si andrà al voto. Al momento sono in vigore due leggi assai diverse, tra Camera e Senato. Per la Camera c’è l’Italicum, ovvero un sistema che garantisce alla lista più votata (al primo turno o dopo il ballottaggio) di avere la maggioranza assoluta dei seggi. Al Senato invece è in vigore il cosidetto Consultellum, ovvero una legge elettorale proporzionale (con le preferenze) senza premio di maggioranza ma con soglie di accesso del due o del quattro percento. Dunque in un quadro così, lo scenario più probabile dopo un voto con questo binomio di leggi elettorali sarebbe una maggioranza assoluta e solida di un partito alla Camera e un Senato spaccato in tre o più parti (Pd, cinque stelle e centrodestra, unito o meno). E con la Costituzione in vigore, sarebbe di nuovo necessario un governo di coalizione che possa ottenere la fiducia anche dal Senato. Un futuro dunque che si annuncia all’insegna dell’instabilità. Il sociologo e politologo Ilvo Diamanti mette in evidenza che non solo Renzi e il PD ma anche “le altre forze politiche dovranno, a loro volta, trovare una missione autonoma. Oltre l’antipolitica, interpretata e intercettata – con efficacia – dal Movimento Cinque Stelle. Oltre il berlusconismo senza Berlusconi, tentato senza convinzione da Forza Italia. Mentre la Ligue Nationale di Salvini dovrà, infine, sperimentare la propria reale capacità di attrazione oltre i confini del Nord e del Nordismo. Per candidarsi alla leadership della destra e del paese. Tuttavia, nel Fronte del No, non è possibile individuare nuovi motivi di coalizione, dopo il referendum. Oltre l’antirenzismo. È, dunque, lecito attendersi una stagione – non breve – di instabilità. Perché questo paese, oggi, appare senza leadership. Senza colori. E senza un nemico. Ma con un bicameralismo e con un Senato solidi destinati a durare a lungo”. E’ il riflesso del referendum. Chi ha vinto non può governare insieme e chi ha perso è troppo debole per tentare una immediata rivincita.
edito dal Quotidiano del Sud