di Gerardo Di Martino
Una iattura si sta per abbattere su tutti noi: la censura. Urge uno scaramantico intervento che scongiuri l’immane tragedia.
È in discussione in Parlamento una proposta di legge che toglierebbe dalle mani della stampa italiana la possibilità di esercitarsi nell’attività preferita: la pubblicazione pedissequa di telefonate, video, messaggi e whatsapp, possibilmente quelli che più espongono la persona all’offesa ed alla vergogna, nella ricerca spasmodica del peggio possibile, per l’indagato si intende.
Una batteria inesauribile di colpi e legnate riprese dal provvedimento che comunemente è detto di arresto ma che tecnicamente corrisponde all’ordinanza di custodia cautelare.
Un’attività di ricognizione che si compendia nel ravanare tra il materiale già accuratamente selezionato da carabinieri, polizia e guardia di finanza per il pubblico ministero. Da questi fornito unilateralmente al giudice per le indagini. Da questi trasfuso nello scritto diffuso. Come per le tessere di un domino, tutte sistemate in una direzione, l’unica al momento conosciuta: l’ipotesi d’accusa.
Il resto? Scartato. Irrilevante. Ma per chi? Per gli accusatori, ovviamente. Tant’è. Occorre dare immediata notizia di che razza di farabutti, corrotti e delinquenti si infarcisce la società italiana. Poco male se alcuna prova si è ancora formata; se alcuna voce di dissenso è stata ancora ascoltata; se alcuna diversa campana ha tampoco suonato.
Titoloni a tutta sbracciata che affamano il lettore e che farebbero tremare le vene di chiunque li subisce. Articoli e social post in grado di distruggere vite e famiglie. Piatta riproduzione di deduzioni e costrutti ivi contenuti e non ancora accertati, giacché non ancora dimostrati. E troppo spesso, questi si, addirittura irrilevanti rispetto al futuro processo.
Ma che volete. Sarebbe la democrazia. Almeno secondo i Presidenti dei due sindacati maggiormente interessati, magistrati e giornalisti.
Come ha sostenuto il primo, il giudice Santalucia, in uno dei recenti interventi sul tema, la norma voluta dall’On. Costa – ossia quella di cui stiamo parlando, la quale fa divieto di pubblicare interamente o per estratto il contenuto dell’ordinanza cautelare – non priva i cittadini di informazioni necessarie perché l’arresto e i suoi motivi certamente sarebbero conosciuti; impedisce però, in casi di particolare complessità, una conoscenza compiuta e corretta di ciò che è accaduto.
Bingo!
Notizia, fatti, e dunque tenuta democratica, sarebbero comunque garantiti. Cosa invece vietato? Lo sputtanamento, per dirla all’inglese.
Perché “la conoscenza compiuta e corretta di ciò che è accaduto” fuoriesce dal concetto di indagini, appartenendo piuttosto al processo.
Sulla semplice considerazione che tale requisito, anzi pre-requisito per la divulgazione, non è accordabile alla ricostruzione che ne fa un singolo soggetto, guarda caso chi accusa. Che tale è, e tale deve rimanere, nel comune interesse.
Epperò, su tutto, la regola, quella di base, quella veramente all’italiana, sembra essere sempre la stessa: fino a quando riguarda gli altri…