E’ dedicato a Giovanni Balducci, detto il Cosci, “un manierista dimenticato dalla storia tra Firenze, Roma e Napoli” lo studio di Francesco Caloia, critico d’arte, già dirigente scolastico, da anni impegnato in un percorso di ricerca e valorizzazione del patrimonio storico-artistico dell’Irpinia. Il volume sarà presentato il 22 agosto, alle 18, presso la chiesa della Madonna delle Grazie di Gesualdo. A confrontarsi con l’autore il sindaco Domenico Forgione, l’assessore alla cultura Gianfranco Bianco, Luigi Petruzzo, presidente della pro loco di Gesualdo, Giuseppe Mastrominico, direttore Gesualdo edizioni, Leonarda Bongo, architetto e docente di storia dell’arte, Monsignor Tarcisio Gambalogna, incaricato diocesano beni culturali ed edilizia di culto della diocesi di Sant’Angelo dei Lombardi, Michele Ciasullo, presidente dell’Università Popolare dell’Irpinia
Caloia restituisce piena dignità ad un artista per troppo tempo messo da parte, escluso dalla narrazione canonica dei movimenti artistici dell’epoca, passando in rassegna le molteplici influenze che caratterizzeranno la sua produzione. Leonarda Bongo sottolinea nella prefazione la ricostruzione attenta da parte dell’autore del contesto storico in cui si forma Balducci con l’instancabile ricerca di documenti e fonti di ogni genere per ripercorrere le vicende personali e le opere dell’artista. Colpiscono la scrupolosa ricerca di fonti storiche e la capacità di Caloia di riscoprire opere dimenticate di Balducci, a conferma della passione per l’arte che guida da anni l’autore nell’impegno di storico e critico d’arte. Ad emergere il ritratto di un’intera epoca e di una costellazione di artisti, in molti casi poco conosciuti, che hanno contribuito alla divulgazione dell’arte tra manierismo e barocco, in particolare nell’Italia meridionale. L’autore, scrive Bongo, descrive il momento in cui opera l’artista “come il momento di passaggio tra la grande stagione del Rinascimento e quella del Barocco, appoggiata dalla Chiesa controriformata. Intende il manierismo non solo come espressione della crisi dei valori della società postrinascimentale ma fondamentalmente come testimonianza dell’individualismo in arte, movimento che prelude sotto molti aspetti all’arte del Novecento, l’inizio del modo moderno di essere artisti nella libertà di espressione e invenzione”. Un itinerario che sorprende per ricchezza e varietà, dagli affreschi del chiostro del Carmine Maggiore a Napoli alle opere eseguite nei piccoli centri meridionali, da Velletri a Maddaloni e Bitonto, lontano dalla grande regia degli artisti manieristi o barocchi. Fino all’ipotesi che abbia realizzato il primo tipo iconografico di angelo custode, conservato nella Pinacoteca dei Girolamini a Napoli. Caloia evidenzia come Balducci “pur aderendo ai dettami della Controriforma Cattolica, seppe mediare tra regole e novità, tra compostezza e nuovi colori, tra capacità empatica di esprimere affetti, corrispondenze di amorosi sensi e la modernità: La sua permanenza a Napoli fu fondamentale per l’arricchimento del contesto culturale del Meridione”
Monsignor Tarcisio Gambalonga definisce il volume “una tessera preziosa e storicamente documentata per conoscere più a fondo il Balducci che ha lasciato proprio nella nostra Irpinia testimonianze significative delle sue doti pittoriche, prima fra tutte la grande tela conosciuta come il Perdono di Carlo Gesualdo”. Sottolinea come “L’opera che a mio avviso sintetizza in maniera straordinaria la vita zingaresca del Nostro è la fastosa tavola della Madonna del Rosario, conservata nella chiesa del Rosario in Taurasi. Nell’opera vi sono echi evidenti degli influssi di Giovan Battista Naldini, nella cui bottega Giovanni si era formato, ma anche della esperienza romane, soprattutto nella accurata resa dei ritratti dei personaggi di Casa Gesualdo, raffigurati in basso nell’opera. Invece, il suo animo di credente, plasmato dalla religiosità controriformista, si coglie pienamente nella grande tela del Perdono. Non è solo un dipinto ma un manifesto di richiesta di perdono per tutta l’umanità peccatrice, nel quale l’artista ha saputo interpretare benissimo l’angoscia per il timore della condanna eterna e di conseguenza l’ansia di perdono e di salvezza del principe dei musici, Carlo Gesualdo”
E’ quindi lo stesso Caloia a spiegare come lo studio nasca dall’impegno di ricerca dedicato alla figura del principe Carlo Gesualdo, di qui l’interesse nei confronti dell’autore della Pala del Perdono raffigurante l’illustre madrigalista, fino a scoprire una figura per secoli dimenticata, tanto da ignorare i rapporti di Balducci con la produzione del tempo e “sottovalutando quella figura di diffusore di elementi e modelli della cultura della fine ed inizio del nuovo secolo alle generazioni successive, che egli ha comunque avuto come pittore di opere sacre”. Caloia spiega come “Per i Gesualdo, nobile casato, feudatari del Regno delle due Sicilie e nel vicereame spagnolo, il pittore dipinse varie opere ma per Carlo Gesualdo, figura tra le più eccentriche della vita musicale del tempo, ne dipinse una in particolare, conosciuta come Pala del perdono, che non è la solita pala d’altare ma è una dinamica Sacra conversazione, vi è rappresentata la richiesta e la concessione del perdono al Principe che assassinò la moglie Maria D’Avalos ed il suo amante Fabrizio Carafa colti in flagranza di reato. Il Balducci insomma fu un artista protagonista del suo tempo ma caduto nell’oblio, che attende di essere portato alla conoscenza dei più rivalutando le sue scelte di martirio e di gloria, di fede e di pathos, i suoi Cristi e le sue Madonne”. Mentre Michele Ciasullo ci ricorda nella postfazione che solo “un apiena consapevolezza della nostra storia e della reala natura dei nostri luoghi può metterci in condizione di negoziare uno sviluppo non distruttivo del posto in cui viviamo”
Formatosi a bottega da Giovanni Battista Naldini, a sua volta influenzato da Giorgio Vasari e dal tardo manierismo fiorentino, collaborò con Federico Zuccari al completamento degli affreschi del Giudizio Universale della cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze. Si iscrisse all’Accademia delle arti del disegno nel 1578.
Nel 1577 e nel 1580 lavorò con il Naldini agli affreschi nella Cappella Altoviti della Chiesa della Trinità dei Monti a Roma. Tornato a Firenze, si unì al gruppo di artisti capeggiati da Alessandro Allori che decorarono i soffitti dei corridoi all’ultimo piano degli Uffizi.
Tra il 1581 e il 1584 è tra gli artefici della decorazione del chiostro grande di s. Maria Novella in Firenze con ben quattro lunette: Nascita di Gesù, La lavanda dei piedi, la deposizione del corpo di s. Domenico nel sepolcro, s. Antonino entra a Firenze in veste di arcivescovo.
Per le nozze di Ferdinando I de’ Medici con Cristina di Lorena fu chiamato a creare apparati e scenografie magnificenti. In particolare prestò la sua opera in Santa Maria del Fiore, dove rimane un’Ultima Cena da lui dipinta. Lo stesso anno dipinse il matrimonio mistico di Santa Caterina che si trova nella chiesa di Sant’Agostino a San Gimignano.
Per il cardinale Alessandro de’ Medici dipinse quello che è considerato il suo capolavoro, un ciclo di scene della Vita del Cristo nell’Oratorio dei Pretoni, conosciuto anche come oratorio di Gesù Pellegrino, in Via San Gallo a Firenze.
Nella sua pittura convivono echi del classicismo quattrocentesco, soprattutto nella resa dei volti, con i caratteri più schiettamente devozionali della pittura sacra fiorentina di quel periodo, dominata dall’influenza di Santi di Tito. Con il Naldini, lavorò alla decorazione del Duomo di Volterra, per esempio dipingendo il Miracolo dei pani e dei pesci nella Cappella Serguidi. La Natività a Volterra è datata 1592. Al periodo napoletano e alle sue influenze spagnoleggianti, viene attribuita la pala d’altare del Perdono di Carlo Gesualdo datata 1609, di pregiatissimo rilievo, oggi custodita nella chiesa di Santa Maria delle Grazie di Gesualdo. Morì a Napoli dopo il 1631 e fu sepolto nelle Catacombe di San Gaudioso dove finora si può vedere il suo teschio incastrato nel muro con un corpo dipinto al di sotto.