Estratto dalla raccolta Di cielo, di nuvole e di vento. Poesie di Monia Gaita (Iride – Rubbettino editore, Catanzaro 2024).
L’inventario delle nuvole
Siamo stanchi
di proclamare le nostre ragioni.
Ognuno esibisce la sua sul proprio scudo.
Adesso decidiamo di non schierare più le insegne.
Niente tumulti o litiganti che vengano alle mani.
Nessuna ragione verrà spodestata.
Verranno spodestate tutte le ragioni
[…]
«La luce e l’accaduto si sono finalmente ricongiunti/ dopo anni di finzione»: è questa la morale in fondo positiva che si può trarre dal nuovo libro poetico di Monia Gaita, che segna l’ulteriore progresso di un processo di maturazione e di presa di coscienza dei propri mezzi espressivi cominciato già qualche anno addietro. A ciò si aggiunga un’altra conquista pure d’ordine etico: la progressiva metamorfosi pronominale dell’io lirico nel noi non meno antropologico-religioso che storico-esistenziale delle pagine conclusive, per un insieme davvero originale entro il contesto della nostra poesia contemporanea. E l’opera della poetessa irpina finisce così per oscillare fra i due poli della singolarità sensibile e della comunità problematica che coincide con l’intero genere umano.
Suddiviso in quattro capitoli a struttura poematica, il libro si articola attorno alle dominanti di un’orazione funebre che diventa autoconfessione del soggetto in primo piano; teatro di una natura che trascina la puntuale vicenda del racconto in un gorgo di millenni; la feroce ma non disillusa messa in discussione della valenza positiva dello sviluppo storico; e la struttura di un’arringa un poco difensiva e un poco accusatoria condotta davanti a una corte giudicante, poiché – come in Kafka – «Il crimine è compiuto, ma l’antefatto è ignoto».
Alberto Bertoni
Professore ordinario di Letteratura italiana contemporanea e Prosa del Novecento, Università di Bologna