«Mi interessava moltissimo che Eleonora Duse non rimanesse una targa su una via. Per me era necessario non tenere questa memoria nella polvere ma portarla al presente, perché quello che ho avvertito in tutti è quanto sia viva, quanto questa donna che nessuno di noi ha conosciuto ci abbia nutrito e spinto in avanti».. Così Sonia Bergamasco racconta la sua Eleonora Duse, protagonista di “Duse, The Greatest”. Soprannominata la divina, la Duse è considerata la più grande attrice teatrale della sua epoca e una delle più grandi di tutti i tempi simbolo indiscusso del teatro moderno, anche nei suoi aspetti più enfatici da diva; il critico contemporaneo Hermann Bahr la definì «la più grande attrice del mondo». Sonia Bergamasco presenterà il suo documentario il 14 febbraio al Partenio, alle 18.30 nell’ambito della rassegna firmata Zia Lidia. «Avevo bisogno di tutti gli altri -spiega – per comporre questo ritratto impossibile. Attraverso di lei ho cercato anche di raccontare qualcosa del nostro mestiere d’attore, che è complesso, difficile, segreto, concreto. Il corpo è lo strumento dell’attore e il corpo è al centro di questa storia, quello di lei e quello di chiunque le è stato testimone». Introducono: i professore di critica cinematografica Marco Pistoia e l’attore Salvatore Iermano.
Sonia Bergamasco si conferma attrice bravissima, capace di rendere appieno il genio della Duse. Ricchissima la sua carriera, da “Quo vado ?” a fianco di Checco Zalone e “Come un gatto in tangenziale” al fianco della coppia Paola Cortellesi/Antonio Albanese, fino al grande cinema d’autore di Marco Tullio Giordana (“La meglio gioventù”e “La vita accanto”) di Bernardo Bertolucci (“Io e te”), Liliana Cavani (“De Gasperi”, “Einstein”). Presto sarà la giornalista Giuliana Sgrena nel film “Il nibbio”.
Intanto, la rassegna firmata Zia Lidia prosegue il 10 gennaio, alle 18 e alle 21, al Movieplex, con “Il gusto delle cose” con Juliette Binoche. Nella grande casa del famoso gourmet Dodin Bouffant fervono i preparativi per il pranzo tra lui e i suoi ospiti: tutto è eseguito a regola d’arte da Eugénie, cuoca sopraffina, al servizio di Bouffant da vent’anni, il quale supervisiona le operazioni fidandosi della maestria della donna. Non è solo la passione per l’arte culinaria a legare i due, ma anche un desiderio di intimità, che Dodin vorrebbe trasformare in un’unione manifesta, in un matrimonio, sempre eluso però da Eugénie, che vuole mantenere la sua indipendenza. Giunto al settimo lungometraggio, (già vincitore della Caméra d’or nel 1993 per il suo esordio “Il profumo della papaya verde” e Leone d’Oro a Venezia nel 1995 con “Cyclo”) il regista, nato in Vietnam ma trasferitosi da bambino in Francia, illustra una sua sceneggiatura basata su un romanzo del 1924 dello svizzero Marcel Rouff, “La Vie et la passion de Dodin-Bouffant, gourmet”, ispirato alla vita del padre della cucina moderna Jean Anthelme Brillat-Savarin. Il gusto delle cose è una variazione sul tema dell’amore romantico, colmo di tenerezza umana verso i suoi personaggi Introduce: Bianca Maria Paladino