La proposta fatta da questo giornale per uscire dalla crisi del Comune capoluogo, che da mesi sta avvelenando il confronto socio-politico, con mia grande meraviglia, ha suscitato un dibattito che, credo di poterlo dire, ha reso più aspro il dialogo, scadendo nell’ambito di pettegolezzi dai quali il ceto politico (!) non riesce a liberarsi.
Quella proposta, che spiegherò più avanti, nasceva da una riflessione del vescovo Aiello, preoccupato, “come cittadino di strada” del futuro della città, dal degrado attuale che essa ha raggiunto. Nessun intervento a gamba tesa negli affari della politica-politicante, ma un contributo responsabile per un ragionamento volto a fini di bene: da buon pastore delle anime, e nel segno del principio del bene comune espresso in ambito filosofico-religioso da Tommaso D’Aquino nella Summa Theologiae scritta tra il 1265 e il 1274. Apriti cielo.
Gli pseudo difensori della libertà di espressione senza pensiero si sono arrampicati sugli specchi per sostenere che il Vescovo, con il suo intervento, si era schierato e perciò stesso era meritevole di censura. Potrei citare centinaia di casi nei quali la chiesa è intervenuta per contribuire a garantire i diritti civili. Da don Lorenzo Milani, a padre Davide Maria Turoldo, da don Mazzolari a tanti altri testimoni di fede, sempre i preti coraggiosi si sono esposti a ingenerose critiche. Ma questa è un’altra storia. Ciò che stupisce, nel nostro caso, è, invece, il fatto che non si è valutata la proposta del Corriere, ma si è presa la tangente per polemizzare con il Vescovo. Assurdo.
Purtroppo, questo è l’infimo livello che ha raggiunto il dibattito sul futuro della città.
Andiamo oltre. Qual è il ragionamento che il Corriere ha fatto per uscire dalla crisi senza determinare ulteriori danni? La sindaca Laura Nargi, nel corso di questi mesi, ha dimostrato ampiamente, meravigliando tutti, di non saper gestire le difficoltà che le si presentavano. Per i più critici motivi che sarebbe qui lungo elencare. E che, comunque, attraversano ambizioni e incoerenza politica. Non solo. E’ stata eletta con un consenso non suo, ma per la maggior parte dell’ex sindaco. Il quale ha preteso di ricambiare il favore, rendendola prigioniera nel suo libero agire. Parte da qui l’errore della Nargi. Lei, avvalendosi del principio di libertà sancito dalle Autonomie locali, aveva, dopo essere stata eletta, la possibilità di decidere nella formazione del suo governo, sottraendosi a possibili ricatti. Non lo ha fatto, non ha voluto, forse non ha potuto. Ma resta, comunque il sindaco della città. La narrazione degli ultimi fatti pone comunque Nargi di fronte ad una scelta che non può essere quella del continuismo.
Da questa situazione è nata la proposta del Corriere. Eccola in sintesi: Nargi riscopra il principio della autonomia delle scelte, si liberi della parte inquinata che la circonda e lavori per dare alla città un governo di alto profilo, seguendo i criteri del merito e della competenza. Puntando anche su quei giovani che desiderano impegnarsi per
la città, che abbiano grande rispetto per la questione morale e la legalità e siano pronti a compiere una esperienza che li aiuti a diventare classe dirigente. Si tratta di una proposta che certamente potrebbe essere migliorata con altri contributi, ma che rappresenta una scelta di grande dignità, quella stessa che è stata violata in questi mesi.
Se così non fosse, quale potrebbe essere l’alternativa? La nomina di un commissario prefettizio che, avendo poteri limitati, può garantire solo l’ordinaria amministrazione. Ricordo la significativa esperienza del compianto prefetto commissario Raffaele Brescia, che, pur dando esempio di probità e onestà non riuscì, per il tempo dato, cento giorni, a portare a compimento i tanti progetti che aveva egli stesso messo in cantiere.
Oggi la città di Avellino con le sue periferie è in una situazione di degrado amministrativo e morale senza pari con
il passato. L’infiltrazione della camorra non è più solo un pericolo, ma una triste realtà. Camorra importata da imprese locali e che operano con lo sfruttamento delle cave, utilizzando il cemento e distruggendo il verde. Ci sono personaggi che danno vita ad una rete di cointeressenze a comitati di affari. Questi, forti della loro impunità, operano alla luce del sole. Certo, sono anche inseguiti dagli organismi di controllo che arrivano fin dove possono, visto che a volte si devono confrontare con una giustizia amministrativa spesso corrotta e inefficiente. Ci troviamo in una ripetizione della famosa inchiesta-film di Dino Risi ne “Le mani sulla città” della Napoli del malaffare. Il Corriere denuncia, lancia continuamente allarmi, le Istituzioni, ciò che rimane ancora di efficiente, tentano
di dare risposte, ma operano tra mille difficoltà burocratiche. La domanda che ci poniamo con angoscia: perché non accade nulla? Perché le nostre denunce cadono nel vuoto? Perché le Istituzioni ancora sane non fanno rete per liberare la città dal malaffare? Sono convinto che qualcosa accadrà, anche dopo che è stato squarciato il velo del connubio politica-affari al Comune capoluogo e non solo.
Per tornare alla nomina del commissario e allo scioglimento del Consiglio comunale, dopo che cosa accadrà con le prossime elezioni amministrative? Il nodo è tutto qui. Si andrà alle elezioni senza Politica e con i partiti ormai
diventati clan di vertici opportunistici. Saranno gli stessi trasformisti e “catturatori” del consenso inquinato a decidere le scelte. Operazione gattopardesca. O meglio, sarà la scelta dell’eutanasia Favorita anche dalla indifferenza dei suoi cittadini che non si curano del futuro ma, alla dantesca maniera, si comportano con “Il non ti curar di loro, ma guarda e passa”. Questo decadimento del rapporto politica-partiti-assenza di classe dirigente ha precise responsabilità che vengono da lontano. L’Irpinia e il suo capoluogo hanno avuto nel recente passato una classe dirigente di grandissimo spessore, capace di illuminare sia il governo nazionale che la politica estera.
Essa si era formata, l’ho più volte ripetuto, intorno ad un metodo di lavoro. Potremmo dire: a ciascuno il suo. Così
mentre De Mita, l’ideologo, diffondeva il messaggio della politica nobile dal Nord (con Mazzotta) e al Sud (con
Misasi) gli altri del gruppo affrontavano la realtà territoriale secondo la propria vocazione.
Sarà non certo un caso che Salverino De Vito, studioso delle infrastrutture per il Mezzogiorno e i problemi dell’artigianato, diventerà Ministro per il Mezzogiorno o Nicola Mancino, avvocato, studioso delle Istituzioni diventerà Presidente del Senato ad un passo dal diventare Capo dello Stato, o ancora Gerardo Bianco, con il suo impegno per la cultura, assurgerà a ministro della Pubblica Istruzione. Potrei continuare con narrazioni di questo tipo per altri componenti: penso a Giuseppe Gargani che, con il pallino della giustizia-giusta, ancora oggi è impegnato nelle riforme di settore. Se questo è vero c’è, però l’altra faccia della medaglia. Assurta al potere
eccelso, quella classe dirigente ha trattato, certo con amicizia, i loro portaborse come servi senza dare loro la chance di diventare classe dirigente. Oggi è così forte il contrasto tra quelli di prima e il nulla esistente dell’oggi da determinare le ragioni della crisi. Per la precisione devo aggiungere che, se mai fosse spuntato qualche personaggio interessante tra i servitori del potere, capace di avere pensiero, in poco tempo questi veniva
isolato.
Questo mio dire potrebbe apparire come una digressione rispetto al problema della crisi di rappresentanza che si verifica oggi. Capire gli errori fatti serve anche a non ripeterli. E allora senza classe dirigente tutto tornerà come prima. Se non peggio. Vedere ora che cosa accadrà in occasione delle elezioni regionali, quanto trasformismo e clientelismo sarà messo in atto dai soliti soggetti interessati. Di qui la Proposta del Corriere: coraggio di sfidare il presente con un sindaco che riscopra il bello dell’autonomia. E facendo questo, chiamare al suo fianco personalità di spicco nella società civile, nella università, nel mondo della ricerca, dell’imprenditoria e del volontariato sociale.
Obiettivo: lanciare la sfida del cambiamento e preparare la classe dirigente del futuro. Occorre una condizione: il
coraggio di chi ama la città e la scelta di cacciare i mercanti di ogni parte fuori dal tempio.