di Rosa Bianco
C’è un’Irpinia che resiste, si rinnova e si racconta con linguaggi nuovi, capace di parlare al mondo senza perdere la propria anima. Federica Brogna ne è una delle interpreti più autentiche. Giornalista originaria di Avellino, oggi residente a Washington D.C., Brogna ha costruito negli anni un percorso professionale che intreccia giornalismo, storytelling e identità culturale, fondando il magazine United States of Italy come ponte narrativo tra l’Italia e le comunità italiane all’estero. Il suo è uno sguardo doppio e fertile: radicato nella memoria irpina e, allo stesso tempo, aperto al confronto internazionale.
Da questa prospettiva nasce “Irpinia – Storta va, deritta vene!”, un progetto che trasforma la cultura popolare, i proverbi, i paesi e lo spirito irpino in un’esperienza ludica collettiva, viva e partecipata. Non un semplice gioco da tavola, ma un gesto culturale che restituisce valore alla condivisione, al racconto orale, al riconoscersi parte di una comunità.
La prima storica giocata collettiva, ospitata alla Tenuta Ippocrate di Montefredane e accolta con grande entusiasmo di pubblico, domenica 21 dicembre 2025, si inserisce in un contesto che rappresenta un vero presidio culturale dell’Irpinia: un luogo in cui idee, persone e visioni si incontrano, dando vita a una comunità solida, curiosa e intergenerazionale. Qui, tra brindisi, risate e strategia, il gioco ha confermato la sua forza: quella di unire, far dialogare e “pazziare” insieme, riscoprendo con ironia e orgoglio un’identità condivisa.
L’intervista che segue racconta questo percorso: la storia di una donna che, partendo dall’Irpinia, ha saputo portarla lontano e riportarla a casa, trasformando la memoria in futuro e il gioco in un atto culturale.
Come nasce l’idea di Irpinia – Storta va, deritta vene! e qual è stato il percorso creativo che ti ha portato dalla prima intuizione fino alla sua realizzazione?
L’idea nasce lontano da casa, ed è già questo un piccolo paradosso molto irpino. Nasce a Washington D.C., durante una delle tante interviste che faccio per lavoro. In quell’occasione incontro uno dei fondatori della casa editrice Demoela, specializzata in giochi territoriali. A fine intervista mi regala un gioco di contrattazione ispirato alla sua terra, la Brianza.
Lo guardo, ci gioco, lo studio… e a un certo punto mi scatta una domanda semplicissima: “Ma perché non posso farlo anch’io per la mia terra?”
Forse perché l’Irpinia, come succede spesso, la capisci davvero quando te ne allontani. Proprio nel momento in cui l’avevo lasciata, mi mancava da morire. Così quel gioco diventa una scintilla: l’idea di raccontare l’Irpinia non con un articolo o un libro, ma con qualcosa che fosse vivo, condiviso, da mettere sul tavolo.
Da lì inizia un percorso lungo e tutt’altro che semplice: scrivere il regolamento, inventare le dinamiche di gioco, bilanciare strategia e ironia, scegliere i proverbi, i dialetti, i riferimenti giusti. È stato un lavoro faticoso, fatto di notti insonni, appunti ovunque e mille ripensamenti. Ma è stato anche divertentissimo. Perché in fondo stavo giocando seriamente con la mia memoria, con la mia identità.
Quanto c’è della tua esperienza personale – soprattutto vivendo a Washington D.C. – nella scelta di raccontare l’Irpinia attraverso un gioco?
C’è tantissimo. Washington è una città straordinaria: dinamica, internazionale, piena di opportunità. Qui ho costruito legami importanti, contatti professionali, una dimensione di lavoro che mi stimola ogni giorno. Ma è anche una città che ti mette davanti a un modo di vivere molto diverso dal nostro.
Qui tutto corre: il lavoro, il business, l’efficienza. È affascinante, ma alla lunga senti che ti manca qualcosa. Ti manca la lentezza del Sud, il caffè al bar con gli amici senza guardare l’orologio, le chiacchiere inutili ma necessarie, quella socialità calda e un po’ disordinata che da noi è la normalità.
Il gioco nasce proprio da questa mancanza. È stato il mio modo di riconnettermi all’Irpinia mentre ero lontana: scrivendo proverbi in dialetto, rispolverando usi, costumi, folklore, raccontando i nostri paesi con affetto e ironia. In un certo senso, Irpinia – Storta va, deritta vene! è il mio ponte personale tra due mondi che sembrano lontanissimi, ma che in realtà convivono dentro di me.
Il gioco è profondamente legato alla cultura, ai proverbi, ai paesi e ai modi di dire irpini. Che valore simbolico e culturale pensi abbia un’esperienza ludica come questa per rafforzare il senso di comunità?
Credo abbia un valore enorme, oggi più che mai. Il gioco da tavolo è uno degli ultimi spazi in cui le persone si siedono davvero insieme, si guardano negli occhi, litigano, ridono, si prendono in giro. In un’epoca dominata dai dispositivi e da una socialità sempre più fredda e virtuale, rimettere le persone attorno a un tavolo è quasi un gesto rivoluzionario.
Questo gioco fa qualcosa in più: mette insieme irpini di paesi diversi, che magari non si sono mai sentiti “della stessa terra” fino in fondo. E invece si ritrovano a contendersi un paese, a discutere per una conquista, a riconoscersi in un proverbio o in un modo di dire. Anche litigando, certo, perché siamo irpini, e senza un po’ di sana competizione non saremmo noi.
Ma è proprio lì che nasce il senso di comunità: nel riconoscersi parte di una storia comune, nel ridere delle nostre differenze, nel sentirci a casa, anche solo per una partita.
Hai coinvolto altri professionisti – illustratori, designer, partner editoriali – nella realizzazione del gioco. Come è stato lavorare in squadra su un progetto così legato alle radici e alle tradizioni locali?
In un percorso così personale non potevo che scegliere di farmi affiancare da professionisti irpini. Per me il lavoro di squadra non è solo una necessità tecnica, è un valore: unisce, rafforza, crea legami veri. E non mi stancherò mai di dirlo.
Grazie a questo gioco ho conosciuto due persone straordinarie, che oggi considero amici preziosi. Telefonate infinite, meeting a orari impensabili per colpa del fuso orario, ma sempre con la stessa disponibilità e la stessa passione.
Gaia Guarino, l’illustratrice, ha fatto qualcosa di meraviglioso: è riuscita a raccontare visivamente un’Irpinia autentica, mai stereotipata. I colori, i disegni, le atmosfere… ha dato forma esattamente all’Irpinia che avevamo in testa, e che è poi quella reale, vissuta, amata.
E poi il lavoro grafico di Ernesto Sessa di Shibui Creative Studio: meticoloso, preciso, elegantissimo. Ha trasformato il gioco in qualcosa che non è solo da giocare, ma anche da guardare, da tenere tra le mani con piacere. Dal punto di vista grafico, Irpinia – Storta va, deritta vene! è diventato un oggetto bello, curato, che racconta una terra anche attraverso il design.
Guardando al futuro, quali obiettivi hai per questo progetto? Immagini il gioco come un regalo da portare nelle case degli irpini sparsi nel mondo, o magari come strumento educativo per le nuove generazioni?
Questo gioco nasce per tutti quelli che l’Irpinia la amano e la vivono, ma soprattutto per chi non c’è più, per chi vive lontano, spesso all’estero. È un modo per riconnettersi alle proprie radici, per ricordare proverbi, modi di dire, storie che rischiano di andare perdute.
Ma è anche, e forse soprattutto, uno strumento educativo. Oggi tanti ragazzi non hanno più una vera cultura del gioco da tavolo: tutto passa dai cellulari, dagli schermi, da una socialità frammentata. Questo gioco vuole essere un invito semplice ma potente: spegnere il telefono, sedersi insieme a un tavolo, giocare, parlare, litigare e ridere come si faceva una volta.
E guardando avanti, sì, sogno qualcosa di più grande. Sto pensando a una vera e propria collana: un gioco all’anno, una serie di giochi made in Irpinia, per “giocare” la nostra terra in tutte le sue sfumature. Giochi da vivere, ma anche da tenere, da custodire nelle librerie di casa, come piccoli oggetti di memoria e identità.



