Non è casuale la constatazione che tra i 377 progetti di legge messi già in cantiere dalla XVIII legislatura che stenta a decollare, della “povertà” nemmeno l’ombra, mentre gli “animali” compaiono 27 volte. È lecito, quindi, rilevare che la dimensione zoologica prevale su quella antropologica. D’altronde basta notare, anche per le strade della nostra Avellino, quanta ostentata cura viene profusa agli “amici con quattro zampe” mentre non viene minimamente curato il rispetto del verde pubblico, diventato usuale ricettacolo delle deiezioni liquide e solide dei cani.
La storia dell’oligarchia nasce nel pensiero politico sin dai primi albori della civiltà: Platone ed Aristotele già si ponevano, nell’età loro, il problema dell’effettiva efficienza della democrazia e si può dire che essi, nell’indicare con limpida precisione le possibili forme di governo, presentano ancora oggi, con immutata validità, il loro antico schema, che si articola, come si sa, in monarchia, aristocrazia e democrazia e nelle loro rispettive deviazioni, tirannide, oligarchia e demagogia.
Su questa perenne esigenza degli uomini di avere un governo stabile, produttivo di benessere, quando sono riuniti in una splendida società, si è avuto sempre, nel corso dei secoli, fino alla Seconda Guerra Mondiale, un continuo e intenso dibattito. Autori eccelsi, ricordati dalla Storia con venerazione ed ammirazione inaudite, hanno scritto su questo particolare tema dell’oligarchia opere insigni, che tuttora conservano un fascino intellettuale eccezionale, di assoluto riguardo e di massimo prestigio.
Il rapporto tra gli ordinamenti politici e le classi sociali, meglio dire nel tempo presente tra i potenti e i diversi strati del popolo, è davvero divenuto esaltante, prioritario e foriero di una verità incomprimibile, nel senso che finalmente oggi nella nostra democrazia si afferma solennemente che “ricchi” e “poveri” hanno la stessa libertà e gli stessi diritti politici.
Aristotele indicava, però, già ai suoi tempi, come costituzione migliore un necessario compromesso tra oligarchia e democrazia, perché considerava inevitabile anche in quella sua Comunità la presenza forsennata di potenti, che avrebbero potuto disporre del potere, appena conquistato, in maniera dispotica. Jean Jacques Rousseau, l’eminente filosofo della Rivoluzione Francese, intuendo il grave pericolo della spregevole degenerazione della democrazia, soleva spesso dichiarare che l’interesse degli affiliati a cordate e a consorterie affidabili avrebbe fatto deviare con certezza i governanti dal binario della “volontà popolare generale” su quello delle “convenienze particolari”.
Questa sventurata e miserrima previsione si dice tra la gente che ancora potrebbe purtroppo oggi avverarsi a tutto danno del popolo. Nell’età nostra, che ha finalmente consacrato per la prima volta nella storia di tutti i tempi sovrano il popolo, si dovrebbe, invece, affermare, con maggiore autorevolezza, che questa struggente calamità non potrà più giammai realizzarsi, perché il nostro popolo ha già sofferto secoli di tragedie, di dolori e di sofferenze e rifiuterà con forza ogni tentativo oligarchico, seppure offuscato da novelli fraintendimenti democratici.
E’ chiaro, dunque, che la nostra tanto cara era di libertà non sarà più soffocata con dolosi inganni o con false prospettive, come avveniva normalmente ai tempi di Platone, di Aristotele, di Cicerone e di Rousseau e di tanti altri celebri testimoni del passato.
di Mario Di Vito edito dal Quotidiano del Sud