Lettera aperta
Al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e per conoscenza
Al Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella
Presidente del Consiglio Giuseppe Conte
A tutti i parlamentari
Ecc.mo Ministro, essendo un Dirigente Scolastico in pensione, Le scrivo da educatore di varie generazioni di allievi a cui, ancora oggi, si rivolgono fiduciosi come ad un padre, nonché come genitore di un ragazzo, ormai trentenne, laureato presso l’Università Federico II di Napoli in Giurisprudenza che, come molti suoi colleghi residenti in Irpinia, è ancora disoccupato sebbene abbia frequentato quello che è considerato un prestigioso ateneo italiano.
Voglio attrarre la Sua attenzione, pertanto, al concorso per l’abilitazione alla professione di avvocato di cui, nella situazione attuale, si impone non solo il rinvio delle prove scritte programmate per il 15, 16 e 17 dicembre 2020, come da Lei disposto, ma una immediata e non oltre procrastinabile revisione delle modalità di conseguimento dell’abilitazione per questi giovani disoccupati che vi aspirano.
Come genitore pensionato, chiedo a Lei di agevolare anche per loro il passaggio dall’Università al mondo del lavoro: è mai possibile che dopo la laurea e dopo ben 18 mesi di tirocinio senza percepire un solo euro non sia sufficiente una prova lineare come avviene in molti paesi comunitari, cui peraltro gli aspiranti italiani più facoltosi si rivolgono per eludere la selezione, dove l’opportunità di iscriversi all’albo degli avvocati è data con cadenza semestrale ed è sufficiente un colloquio o un test telematico per poter entrare nel mondo del lavoro, guadagnarsi da vivere e cominciare a pagare le tasse. Queste non sono persone che chiedono da nullafacenti un reddito di cittadinanza, ma persone per cui le famiglie hanno fatto enormi sacrifici investendo sui propri figli che per laurearsi si sono impegnati nello studio, che spesso è stato un cammino ad ostacoli fatto di sacrifici e privazioni ed a volte delusioni e che Lei, avendo fatto lo stesso percorso, dovrebbe conoscere bene.
Ma veniamo agli esami di abilitazione, senza mai generalizzare, a Napoli per lo più da quanto ho avuto modo di sentire intervistando vari aspiranti avvocati che nella città partenopea hanno volto le tre prove scritte, in tre giorni consecutivi, le stesse sono state svolte nel caos e sono percepite come una inutile defaticante bolgia, una farsa in corso d’opera, le valutazioni dei temi effettuate senza giudizio di merito creano rammarico e ricorsi sistematicamente respinti dai giudici amministrativi, per le preclusioni di una legge blindata, che aggiungono ingiustizia ad ingiustizia. Come ben sa le tre prove scritte nell’ultimo esame svolto in Campania, corrette della Corte d’Appello di Milano, sono risultate tra le più basse d’Italia (sa di altra punizione nei confronti dei meridionali) portando solo circa il 35% dei candidati al superamento della prima fase: cosa che se fosse vera dimostrerebbe che quasi il 70% dei candidati non è all’altezza di conseguire l’abilitazione dichiarando il fallimento della scuola e dell’Università, il cui fio dobbiamo pagare noi ed i nostri figli attraverso un meccanismo di esclusione che nulla a che vedere con la meritocrazia.
Egregio Ministro, essendo Lei Avvocato, ed ancor prima praticante, ben può comprendere le non poche difficoltà sottese a tale professione e ben può farsi carico dell’attuale ulteriore aggravio dettato dalla totale incertezza del futuro professionale dei giovani aspiranti. Oltretutto, l’Avvocato, nobile professionista a garanzia dei diritti del soggetto, non è alle dipendenze di chicchessia e, pertanto, non riceve alcun salario; l’Avvocato è un libero professionista, e come tale deve essere riconosciuto: l’abilitazione all’esercizio della professione deve essere oggetto di un esame, non di un concorso pubblico come erroneamente lo si definisce e, nei fatti, ogni anno si sostiene che, peraltro, è un terno al lotto svolto non per abilitare il merito ma per scoraggiare e discreditare i concorrenti a vantaggio delle lobby. Lei, come riformista facente parte di un movimento “giovane” a cui molti giovani hanno creduto, dovrebbe dare loro fiducia non lasciandoli a casa dopo tanti anni di studio ma mettendoli nelle condizioni di poter lavorare, l’abilitazione e l’inserimento immediato nel mondo del lavoro non darebbe loro tra l’altro un posto statale ed uno stipendio sicuro, ma la possibilità di cominciare ad entrare con dignità in qualche studio apportando anche innovazione in quanto capaci di utilizzare con abilità e dimestichezza le nuove tecnologie informatiche ed essendo così di valido supporto al rinnovamento telematico in atto anche nel mondo giudiziario. Se questo non avviene questi ragazzi già penalizzati per aver scelto un percorso di studio che porta ad una professione che è andata svilendosi, saranno condannati a restare anni in attesa di poter esercitare la professione. Tutto ciò persiste solo per gli aspiranti avvocati mentre per altre categorie professionali, ben più suscettibili di un esame abilitante, è previsto solo una prova come per gli agronomi, forestali, architetti, assistenti sociali, biologi, chimici, geologi, ingegneri, tecnologi alimentari, commercialisti, esperti contabili e revisori legali. Per non parlare poi delle lauree abilitanti introdotte con il decreto legge 17 marzo 2020, che consentono a medici, veterinari, psicologi, odontoiatri e farmacisti di iscriversi all’albo subito dopo la laurea, senza passare per un esame di abilitazione, nonostante la delicatezza delle mansioni professionali. A tale discriminazione lo Stato può e deve porre riparo rimuovendo ogni ostacolo alla piena realizzazione degli aspiranti avvocati e, perciò, confido nella Sua azione volta a garantire per la Categoria pari diritti ed opportunità.
Caro ministro una delle più nobili e rispettabili professioni al mondo, dotata di fascino, carisma e valore sociale, quella forense, per questi ragazzi si è rivelata una trappola mortificante. In un mondo pieno di contraddizioni questa è un’ingiustizia, è una discriminazione che va sanata, credo proprio che non è più moralmente accettabile per noi genitori e per i nostri ragazzi che l’accesso alla professione si continui a volerla con le stesse anacronistiche modalità con cui è stata effettuata sinora a tutela di una casta, come ben dimostra la presa di posizione del Cnf e Ocf nel giudicare completamente inadeguata la proposta di legge di riforma (Di Sarno M5S e Miceli PD). Questo è un momento storico di crisi gravissima e questi ragazzi, messi in difficoltà dalla pandemia al pari di altre categorie di cittadini che sono attualmente attenzionati e aiutati dallo Stato, devono potersi inserire immediatamente nel mondo del lavoro, al pari degli altri aspiranti professionisti: sarà il merito ad effettuare una selezione naturale e chi sarà più bravo farà più strada! La società ha bisogno di loro e loro hanno diritto di sentirsi parte della società, tutti gli attori sociali in questo difficile momento devono essere messi in condizione di poter fare la loro parte. Non si tratta solo di un fatto economico, di un mancato guadagno. Si tratta di un male psicologico e sociale. Un sistema economico, se serve a qualcosa, deve assicurare la dignità di un lavoro a chi abbia capacità e voglia di lavorare. Il lavoro, su cui è fondata la Nostra Repubblica, assicura indipendenza, non solo finanziaria, dignità e rispetto di se stessi. Se lo Stato e parte della società ostacolano tale legittima ambizione, i giovani cominciano a pensare che c’è qualcosa che non va nello Stato e nella società stessa cadendo facilmente vittime di ideologie radicali. In ogni caso, si sfilaccia il tessuto sociale, e più a lungo dura lo stato di disoccupazione, più aumenta il disagio e più gravi le ferite psicologiche.
La mia esperienza umana e professionale di dirigente scolastico ed educatore mi ha insegnato che si diventa uomini solo vivendo tra gli uomini, che si impara lavorando e solo il lavoro e la conseguente autonomia danno dignità all’essere umano.
Cordiali saluti
Former Dirigente Scolastico prof. Francesco Caloia