Gli assassini di Aldo Moro stanno in giro liberi e tranquilli. Presentano loro libri nei luoghi di vacanza, raccontando le loro verità sui quei tragici giorni in cui si consumò l’atroce omicidio di un esponente politico di grande prestigio, sacrificato per aver immaginato l’allargamento dell’area democratica del Paese. Un delitto pianificato probabilmente da poteri esteri e gestito dai componenti di quella lotta armata che si conclude con la morte del presidente della Dc.
Nonostante le tante commissioni d’inchiesta sul caso Moro la verità di quell’assassinio politico non ancora ha una sua vera verità, mentre molti degli esponenti di quella tragedia godono, a mio avviso, di una libertà protetta. Ritengo che qui sia inutile soffermarsi sulle ipotesi, tante, troppe, che sono emerse nel corso degli anni senza che nessuna di esse abbia dato una risposta convincente. Di volta in volta si accenna a probabili complotti che porterebbero alla politica degli Stati Uniti o dell’Unione sovietica, in relazione al ruolo che la nostra Italia aveva e ha nello scacchiere mondiale per la sua posizione strategica nel bel mezzo del Mediterraneo.
La mia opinione sulla vicenda parte da una domanda che, con ogni probabilità, è la stessa che si pongono i cittadini italiani e i familiari di Moro: come è possibile che chi sa, invece di raccontare la verità, scriva libri e goda della libertà personale a differenza di chi, avendo rubato per fame, marcisce per anni nelle patrie galere? Resta un mistero la storia delle tragedie politiche del nostro Paese.
Sono giunto a questa riflessione in relazione al clima che l’Italia sta vivendo alla vigilia dell’ennesimo turno elettorale per il rinnovo del Parlamento. A mio avviso la crisi innescata dalle forze di centrodestra nasce ancor prima delle dimissioni di Mario Draghi. A mio avviso il premier, e i poteri che lo sostengono, avendo sentito puzza di bruciato, pur senza essere sfiduciato ha abbandonato la nave che sta per affondare. La realtà è ben diversa da quella commentata dagli opinionisti dopo le sue dimissioni.
In quel momento il centrodestra era disunito su molte opzioni programmatiche: dal reddito di cittadinanza, al problema delle tasse, a come gestire il futuro presidenzialismo. I linguaggi erano diversi. Qualcosa, poi, nel corso delle prime battute di questa campagna elettorale, costringe i partner del centrodestra a cambiare rotta, tanto che le elezioni italiane diventano argomento internazionale, con protagonisti, come nel caso Moro, poteri esteri. Pensare, come pure accade, che ci possa essere un accordo Meloni-Berlusconi sul loro posizionamento (Giorgia a palazzo Chigi e Silvio al Quirinale) è abbastanza riduttivo e finanche casareccio.
Anche perché, a mio modesto avviso, i protagonisti del centrodestra potrebbero avere vita politica unitaria breve: non appena avranno conquistato il potere, infatti, ricominceranno a litigare. Se malauguratamente ciò dovesse accadere, il conseguente clima di instabilità, potrebbe ridurre lo spazio della democrazia conquistato e difeso con la lotta antifascista germogliata con la Resistenza. In questo caso l’instabilità potrebbe aprire scenari inquietanti. Che Dio non voglia.
Gianni Festa