Dopo il disastro che, a cent’anni dalla marcia su Roma, porta a capo del governo, insieme a una maggioranza reazionaria, una giovane donna, Giorgia Meloni, che viene, sia pure in linea mediata, da quella storia di dittatura ventennale dall’andamento drammatico e dall’esito tragico, una domanda tra le forze democratiche e di sinistra s’impone: che fare? Se in tanti, saranno a rispondere con cuore che ragiona e con ragione che ha cuore, ci sarà, per dirla con Ernst Bloch, la possibilità di un “nuovo inizio”. Che si sostanzi, sempre in termini blochiani, in una “docta spes”, ossia in una speranza fondata oggettivamente in un progetto di positiva e democratica evoluzione della società italiana, facendo si che sia breve “l’inverno del nostro rovello”e la storia democratica e antifascista dell’Italia, nata dalla Resistenza, riprenda il suo corso.
Bisogna, a mio vedere, preliminarmente sapere che cosa non bisogna fare più, innanzitutto da parte del Partito Democratico. Ovvero, bisogna: rompere in modo definitivo e intransigente con un pratica verticistica, notabilare, clientelare, anche opaca di gestione del potere in tantissimi comuni e regioni; rinunziare all’idea scioccia di fare l’opposizione insultando Meloni, che è una donna seria e onesta e che viene dopo Berlusconi, del quale è meglio il tacer che il dire. In Italia la destra non è solo espressiva di darwinismo sociale, di egoismo da rigattiere o pescecane o affarista della finanza, di invidia da usciere, di trivialità da bar sport. E’ di più e peggio: è il portato di una grave “malattia morale”, per dirla con Croce, che non solo ha generato il fascismo, ma anche la mafia, esportati in tutto il mondo. La Destra italiana non annovera certo tra i suoi De Gaulle o Churchill.
E la sinistra, il cui maggiore PD, è ridotto al lumicino del 18%, che cos’è? Poco più che “vulgo disperso”, con capi e capetti senza seguaci, in preda a troppe basse pulsioni e incapaci di idee. Si tratta, invece, di rientrare nell’agone politico rifacendosi alla nobiltà della storia della Sinistra e di dare identità e futuro al PD. E’ un’opera ardua, ma non è difficile individuare la costellazione di valori in cui credere e a cui dare sostanza, rinnovamento e autenticità di contenuti Ci riferiamo ai valori della libertà, di una libertà uguale (donne e uomini), della giustizia sociale, della dignità del lavoro, della questione morale in termini berlingueriani e della questione meridionale, della pace nel mondo e della salvezza del pianeta dall’entropia ecologica. Lo Stato cui bisogna dare struttura forte è lo Stato veramente democratico, lo Stato diritto che sa essere Welfare State, Il modus operandi di un siffatto partito deve essere la mediazione progettante degli interessi, individuando il loro punto di universalità e caratterizzando la modalità dello sguardo sulla società a partire dagli ultimi e dai meno protetti. Ma ciò che più conta è che ad animare il nuovo PD sia un umanismo forte, radicale, cosmopolitico, cristiano nella Philia, a prescindere dal credo religioso. Per dirla con le meravigliose parole del grande scrittore Vasilij Grossman, pur a fronte della violenza razzistica, populistica e xenofoba, non dobbiamo lasciar “morire l’umano nell’uomo”. Dobbiamo, invece, continuare “a credere che vita e libertà siano una sola cosa e che non ci sia nulla di più sublime dell’umano nell’uomo”.
di Luigi Anzalone