ARTURO AIELLO*
I festeggiamenti dell’Assunta ad Avellino iniziati con “l’alzata del Pannetto” il 26 luglio scorso, vedono la città senza particolari segni di festa a causa delle vicende politiche che, nel cambio dell’Amministrazione Comunale, non hanno permesso, per impossibilità tempistica, una regia “in gran pavese”. Sotto il peso del caldo torrido la città se ne sta sonnacchiosa e guardinga. Mi chiedo se questa assenza di luminarie non ci aiuti a ricuperare il
senso profondo della festa che non risiede in bancarelle e baccalà, in luci e fuochi di artificio, in concerti e bande musicali, ma nella invocazione della Beata Vergine Assunta in cielo quale Regina di questa città.
A Lei alziamo lo sguardo attraverso la Statua che troneggia in Cattedrale e che il 15 Agosto sfila per le vie della città raccogliendo sguardi e preghiere, povertà e dolori, paure e speranze. Non solo in Cattedrale, ma anche a Valle e in tantissime Parrocchie della Diocesi la Festa della Madre è sentita e solennizzata, attesa e vissuta con concorso di popolo. I nostri antenati che ci consegnano questo appuntamento, ora anch’essi
nella Gloria di Maria, ci vorrebbero più attenti a tessere le fila della memoria perché non si perda la speranza nel futuro prossimo, qui nella storia, e quello Remoto in cui la Madre è incoronata Regina e dove pure muovono i nostri passi, a volte decisi e più spesso esitanti.
Il futuro prossimo (basterà intravvedere l’autunno alle porte) non è esaltante, forse ci verranno presentati altri conti da pagare, forse il mercato del lavoro sarà ancora più problematico e la fascia della povertà si allargherà a dismisura, forse la frammentazione sociale sarà ancora più larga e allarmante. Il Futuro Remoto è rappresentato dal Cielo dove Maria, la Madre del Signore è stata assunta e dove è preparata una vita piena anche
per noi. I due “futuro” sono interconnessi perché, nella misura in cui ci impegniamo in quello prossimo, avremo diritto a quello Remoto. L’impegno chiama in causa la solidarietà che riusciremo ad imbastire, la condivisione e la comunione che saremo capaci di mettere in campo, anche nei giorni di questa Festa, il sogno di
mettere a disposizione di altri, meno fortunati, risorse di pensiero e di affetti.
In questi giorni, in due località diverse della nostra Diocesi, si innalzano monumenti di grano a solennizzare una sorta di “Festa del Ringraziamento” la cui eco viene da molto lontano. In una terra dedita alla coltivazione del grano, dopo i giorni della mietitura, i nostri avi idearono una “Festa del Grazie” innalzando obelischi di grano intrecciato, alti fino a trenta metri, e portati su carri trainati da buoi. Accade ancora oggi a Fontanarosa e a
Mirabella Eclano dove gli obelischi sono diventati vere opere d’arte (barocca nella terra della pietra rosa, e gotica nell’antica Eclanum) che invitano a guardare in alto, fino alla guglia più alta dove troneggia la statua della Madre.
Un recente studio di antropologia culturale di Helga Sanità, edito dal Mulino, mette in collegamento esperienze analoghe in diverse località appenniniche con il suggestivo titolo “Campanili di grano”. Ancora oggi, delusi e
avvelenati dalle promesse delle varie rivoluzioni industriali, l’arte contadina con la cultura del grano ci racconta che la terra non tradisce, che c’è ancora grano e, quindi, pane, che è possibile nel terzo millennio affidare il grano alla terra per riceverlo moltiplicato nella spiga dorata.
I Campanili di grano di Fontanarosa e di Mirabella non hanno bisogno di corrente elettrica e di luci, fanno
festa da soli e irraggiano oro come fari che illuminano i passi di quanti si sono perduti dietro il secondario e il terziario. Sono inni di riconoscenza alla Madre-Terra, alla Vergine Madre che troneggia in alto e collega terra e cielo lasciando cadere una pioggia di pane.
Forse è di questo che abbiamo necessità oltre ogni altro bisogno indotto, di pane da mangiare, da guardare, da annusare, da condividere. Invito i cittadini di Avellino ad alzare lo sguardo verso i monti dove risplendono i Campanili di Grano che irraggiano luce, suonano speranza, diffondono rintocchi di fede, spandono festa
che verrà ad illuminare il Corso e Piazza Libertà. “La Storia siamo noi- canta De Gregori- e nessuno si senta offeso, nessuno si senta escluso… La Storia non passa la mano, la Storia siamo noi, siamo noi: questo piatto di grano”.