E’ la mitologia del quotidiano, capace di restituire dignità anche alle piccole cose, a caratterizzare la ricerca poetica di Maria Consiglia Alvino. Una ricerca che si delinea con chiarezza nella raccolta “Campi di luce”. Lo sottolinea la poetessa Rossella Tempesta nel parlare della sua poesia alla libreria Mondadori nel corso di un incontro moderato da Floriana Guerriero e impreziosito dalle letture di Martha Festa di Puck Teatrè. Una mitologia che riesce sempre a trasfigurare luoghi, scene domestiche o momenti legati alla vita di ogni giorno, dalla fermata della metro a una giornata d’estate fino ai piatti stesi nella dispensa. Centrale, prosegue Tempesta, è il ruolo dell’immaginazione in un costante dialogo con un tu, che restituisce forza ai versi. Poichè “La poesia è sempre dialogo con l’altro”. Una poesia fortemente femminile nel suo abbraccio all’universo. Guerriero si sofferma sulla capacità dell’autrice di partire, nella scrittura dei versi, da istanti che hanno segnato l’esistenza, ricordi e memoria d’infanzia o immagini da cui scaturiscono storie, sempre alla ricerca della luce che è simbolo di purezza. Luce che è anch’essa nelle piccole cose come nella grazia di una giornata d’estate. Allo stesso modo la natura appare ora simbolo di bellezza, ora simbolo di indifferenza, fino a farsi specchio dello stato d’animo dell’io, attraverso associazioni talvolta stranianti, nella consapevolezza che non è il più il tempo di eroi e fate e che anche le Muse possono trovare un modo nuovo per manifestarsi, nei racconti del nonno o nell’incontro con uno sconosciuto.
E’ Maria Consiglia a raccontarsi “Ho cominciato a scrivere all’età di 15 anni. La mia poesia nasce da immagini che si stagliano nella mente all’improvviso, come una sorta di epifanie che cerco di fissare su carta. Ed è chiaro che queste immagini sono il risultato di tutte le esperienze che si sono stratificate in me a partire dall’amore per la cultura classica”.
Chiarisce come non sia facile conciliare la scrittura con l’essere moglie e madre ma di aver imparato tanto dalla maternità “E’ come se la morte e la vita si unissero, la maternità ha rappresentato la morte di me stessa per poter tornare a generare, la presa di coscienza che una parte di sè deve morire per poter generare”. Sottolinea come “Per scrivere ho bisogno di silenzio, mi ritiro nel mio studiolo, il mio mondo. So che la scrittura è frutto di allenamento. Ma capita anche che mi colpisca il volto di un uomo e abbia una folgorazione. Così annoto i versi su un taccuino”. E spiega “Quando scrivo immagino sempre un tu che possa ascoltarmi e si riconosca nelle mie sofferenze”. Sottolinea come il rapporto con la mia terra sia complesso “Ho sempre cercato di mettermi al servizio di questa terra proprio perchè vorrei che fosse diversa. Lo testimonia l’impegno con un’associazione come Irpinia poetica. Ho sempre avuto un rapporto di odio e amore con l’Irpinia. Mi sono sempre detta che la generazione del dopo terremoto si è rassegnata all’estetica del brutto, considerandolo inevitabile. Ancora oggi bellezza e servizi efficienti ci sembrano un’eccezione. Mentre non lo sono in altri territori”. Tra i momenti più emozionanti il gioco poetico nato con un altro poeta atripaldese Antonio La Sala, con la lettura dei versi dei due poeti, due differenti sguardi sul mondo.