Una tesi dedicata a “La Repubblica dei partiti. La segreteria di De Mita (1982-1989). E’ quella che ha discusso nei giorni scorsi Lorenzo Iacoviello, 25 anni, all’Università di Torino, relatore il professore Paolo Soddu, al termine del corso di laurea in scienze storiche. “Il tentativo – spiega Lorenzo, che vive ad Atripalda ma la cui famiglia è originaria di San Nicola Baronia -è stato quello di indagare il duplice tentativo riformatore dell’universo partito e delle istituzioni, prima del passaggio alla Seconda Repubblica, da parte di una figura di primo piano della politica nazionale come De Mita “In quanto irpino, ero partito dall’idea di raccontare la classe dirigente irpina. Dopo aver preso in considerazione differenti possibilità, la scelta è caduta sull’analisi degli anni della segreteria di De Mita, un ambito storiografico ancora poco trattato”. Sottolinea come “De Mita ha provato a rinnovare la cultura politica, aprendo la Democrazia Cristiana alla collaborazione di esterni, cattolici e democratici non iscritti al partito, da Pietro Scoppola a Nicola Lipari fino a Roberto Ruffilli. Sul piano delle istituzioni, ha cercato di varare una riforma della legge elettorale che desse la possibilità ai cittadini di scegliere la maggioranza di governo, attraverso la presentazione di coalizioni ben definite. Una riforma mai andata in porto, nell’88 va al governo ma Ruffilli, suo stretto collaboratore, con il quale aveva lavorato alla riforma, viene ucciso dalle Br. E’ il segno dei limiti di una riforma, impossibile da portare avanti, in un contesto attraversato da tensioni e violenza. Malgrado ciò, De Mita non rinuncia alla sua tensione riformatrice e promuove una riforma dei regolamenti parlamentari con l’abolizione del voto segreto che pone fine alle pratiche consociative, offrendo un contributo importantissimo alla difesa della democrazia”.
Spiega come “mi piacerebbe continuare a occuparmi di storia della politica. Condivido in pieno il giudizio espresso da Mattarella su De Mita, in occasione dell’intitolazione alla sua memoria, di una sala del Carcere Borbonico: ha ribadito come sia stato un attento interprete del mutamenti sociali, capace di cogliere le problematiche emergenti della società, tanto da proporre già nel ’69 un patto costituzionale. Era espressione di una progettualità e di una idealità forte che manca alla politica di oggi, aveva, inoltre, alle spalle una tradizione di militanza che gli aveva consentito di fare esperienza”. Ribadisce come “la politica è in profonda mutazione, un processo che si spiega con le radicali trasformazioni culturali in corso negli ultimi decenni. Potremmo dire che anche la politica è alla ricerca di una nuova definizione”.