MONTEFORTE – “La vera sfida è difendere le istituzioni. E sta a noi farlo. Solo così Antonio non sarà morto invano”. Lo sottolinea il prefetto Achille Serra, poliziotto nella Milano degli anni ‘70, nel confronto dedicato ad Antonio Annarumma a Palazzo Loffredo nel cinquantesimo anniversario della morte. Non risparmia stilettate ad una magistratura a suo dire “spesso poco coerente. Mi auguro che possa essere maggiormente legata alla realtà. Se sarà così e le forze dell’ordine continueranno a svolgere il loro lavoro con coraggio e dedizione come hanno sempre fatto avremo un baluardo inaffondabile contro la criminalità “. Cita Pasolini “tra i primi a capire, commentando gli scontri tra poliziotti e manifestanti, che i ruoli erano esattamente opposti. Noi eravamo loro e loro noi”. Per ribadire che la guerra alla mafia e alla criminalità non si vince con il “sacrificio delle forze dell’ordine ma investendo su cultura e lavoro “altrimenti sarà un gioco da ragazzi per la criminalità reclutare i giovani nelle proprie fila”. “Penso ad emergenze come quella della droga – prosegue – Nessuno più ha il coraggio di andare nelle scuole e raccontare quanto sia pericolosa. Per sconfiggere la criminalità c’è bisogno di fare in modo che la domanda diminuisca”. Ma le ferite di quel 19 novembre 1969 sono ancora lì e sanguinano ancora. I nipoti Carmela e Vincenzo Ercolino ricordano l’allegria dello zio “Era arrivato da poco a Milano. Aveva tanti sogni e speranze ed era orgoglioso di quel lavoro. Non potrà mai dimenticare il volto di suo padre che è morto il giorno stesso in cui è morto il figlio”. Al tempo stesso non dimenticano le parole di Mario Capanna, in occasione dell’inaugurazione di una targa intitolata alla memoria di Annarumma alla questura di Milano, accusandolo di aver voluto strumentalizzare la morte dello zio, parlando ancora una volta di incidente. “Sono ancora troppi i lati oscuri e questo ci riempie di amarezza”. La platea si scalda, Giovanni Sarubbi in sala punta l’indice contro “la pessima gestione dell’ordine pubblico in occasione di quella manifestazione a Milano. Fu sbagliato l’ordine di caricare. Le responsabilità sono anche di chi non sappe gestire al meglio la protesta”. E’ poi la vedova Manganelli, Adriana Piancastelli, a prendere la parola ricordando che non si può non contestualizzare l’episodio che vide protagonista Annarumma “Fare i poliziotti ieri – spiega – non è come farlo oggi. Oggi ci vuole una conoscenza del mestiere, della società, della politica. Molto spesso i giovani poliziotti in passato non avevano una preparazione adeguata per gestire ogni situazione. Ma soprattutto dobbiamo trasmettere a questi ragazzi la passione per gli ideali che deve guidare sempre la professione del poliziotto. Non si può fare questo lavoro perchè si vuole uno stipendio sicuro, “Antonio Annarumma ha messo il cuore nel suo lavoro, ha messo sé stesso in ogni professione che ha svolto. La morale deve essere sempre più importante del portafoglio, qualsiasi lavoro si faccia. Al tempo stesso un poliziotto – prosegue Piancastelli – deve avere consapevolezza del suo lavoro, conoscere i pericoli a cui è esposto. Ricorda suo marito Antonio Manganelli, la sua passione per il lavoro, “il sorriso sempre aperto perché basta un sorriso a risolvere a volte quello che appare come un problema insormontabile”. In sala ci sono gli studenti dell’istituto comprensivo Aurigemma guidati dalla dirigente Angela Rita Modugno. A loro la Piancastelli si rivolge spesso e i ragazzi consegnano riflessioni, versi, pensieri. Sono quindi l’assessore alla cultura Lia Vitale e il sindaco Costantino Giordano a spiegare il valore di cui si carica un convegno come questo “Vogliamo trasmettere ai giovani l’esempio di dedizione al lavoro rappresentato da Manganelli, l’idea di una comunità che cresce e che rivendica il saldo legame con i propri eroi”. Mentre la storica Giovanna Della Bella ricorda il dolore di una comunità che si strinse intorno alla famiglia di Antonio.
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