E’ una lettera accorata quella che Antonio De Padova, tra i fondatori dell’associazione Apple Pie- Arcigay, in prima linea nella battaglia per i diritti, scrive al Presidente della Repubblica Mattarella. Chiede che sia garantito il diritto all’adozione anche ad uomini e donne della comunità LGBTQ+, indipendentemente dall’orientamento sessuale. “Fra qualche giorno avrò 46 anni, e sono un uomo unito civilmente con il mio compagno. Le scrivo con il cuore colmo d’amore, ma anche con la consapevolezza dolorosa che, nel mio Paese, mi è negata la possibilità di essere padre.
Le chiedo, per un istante, di chiudere gli occhi e mettersi nei miei panni. Immagini quei bambini soli, senza famiglia, senza abbracci, senza una voce dolce che sussurri loro: “Andrà tutto bene”. E ora immagini noi uomini e donne della comunità LGBTQ+, persone single, coppie omoaffettive che abbiamo il desiderio profondo di una famiglia. Abbiamo braccia aperte, un cuore pieno, e un sogno grande: accogliere un figlio, amarlo, crescerlo, proteggerlo. Ma quel sogno ci resta negato.
Mi faccio portavoce di tanti uomini e donne della comunità che, come me, non chiedono privilegi, ma solo giustizia. Solo la possibilità di dare amore a chi ne ha bisogno.
Il mio desiderio non è irrealizzabile per mancanza d’amore, di responsabilità, o di stabilità. Lo è per una legge la n. 184 del 1983 che disciplina le adozioni in Italia e che continua a escluderci. Esclude me, il mio compagno, le persone single, tutte le coppie dello stesso sesso. Per lo Stato, non siamo considerati “adatti”.
Eppure, Presidente, io mi sento già padre. Ogni volta che accompagno i miei nipoti Simone, Gioia e Aurora, ogni volta che li ascolto, che li tengo per mano nei momenti difficili, sento quella voce limpida e profonda dentro di me: è la voce della paternità. Ma la società, le leggi, non mi riconoscono come tale.
Mi dite che ho ragione ma… ma io non voglio aver ragione, voglio solo realizzare i miei sogni. Voglio concretizzare questo desiderio d’amore e di vita.
E allora Le chiedo, con dolore ma anche con fiducia: perché?
Perché il mio amore, la mia dedizione, la mia capacità di accudire valgono meno di quelle di un altro cittadino eterosessuale? Cosa rende meno valida la mia famiglia?
Nei Paesi che ci circondano Francia, Spagna, Germania, Svizzera, Regno Unito i diritti genitoriali sono già estesi anche alle coppie omosessuali e alle persone single. Perché l’Italia continua a restare indietro, inchiodata a una visione della famiglia che esclude e ferisce?
C’è un paradosso che brucia: se chiedessi di adottare un bambino con gravi disabilità, lo Stato mi considererebbe un genitore adatto. Come se solo un “bambino di serie B” potesse essere affidato a un “genitore di serie B”. Ma noi non siamo cittadini di serie B. E quei bambini non sono vite di serie B. Siamo tutti ugualmente degni, tutti portatori dello stesso diritto all’amore.
La psicologia, la pedagogia, la scienza sono concordi: ciò che fa crescere un bambino in modo sano non è la “forma” della famiglia, ma la qualità dell’amore, della cura, della sicurezza affettiva. L’essere umano ha bisogno di essere amato. Punto.
La nostra Costituzione tutela il superiore interesse del minore. E questo interesse deve prevalere su ogni pregiudizio. Oggi in Italia ci sono centinaia di bambini che aspettano una famiglia. E ci sono centinaia di persone, come me, pronte a offrirla. Non lasciamo che l’amore resti bloccato da una legge vecchia di oltre quarant’anni, rimasta sorda ai cambiamenti sociali e al cammino, seppur lento, dei diritti.
Qualcosa, finalmente, si sta muovendo. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 33 del 21 marzo 2025, ha riconosciuto il diritto delle persone single ad accedere alla procedura ordinaria di adozione. E il 22 maggio scorso, con la sentenza n. 68, ha dichiarato incostituzionale il divieto per le coppie di donne omosessuali di essere entrambe riconosciute come madri del figlio nato in Italia da procreazione medicalmente assistita effettuata all’estero.
Sono segnali forti. Sono sentenze che affermano un principio chiaro: la genitorialità non può essere discriminata in base all’orientamento sessuale o alla composizione della coppia. Ma non bastano. Serve un intervento legislativo deciso, strutturato, che apra davvero le porte dell’adozione anche alle famiglie arcobaleno.
Tuttavia, permane un vuoto profondo normativo e umano verso le coppie omoaffettive maschili. In Italia, noi uomini non possiamo diventare padri. La gestazione per altri, anche se effettuata all’estero, è considerata un reato universale, punibile nel nostro ordinamento a prescindere dal luogo in cui sia avvenuta. Questo significa che, per noi, anche l’ultima via possibile l’adozione resta chiusa.
È una discriminazione silenziosa, ma profondamente dolorosa.
Con l’associazione di cui faccio parte, Apple Pie Arcigay Avellino, abbiamo lanciato la campagna “Rivoluzione Familiare”, chiedendo che venga ampliata la platea delle persone legittimate ad adottare, indipendentemente dall’orientamento sessuale, dallo stato civile o dall’identità di genere. L’idoneità a crescere un figlio non si misura con questi criteri, ma con la capacità di amare, educare, accompagnare”
Presidente, accenda con noi una luce su questa realtà che troppi preferiscono ignorare.
Dia ascolto a chi sogna una famiglia non per sé, ma per un bambino che ancora non ce l’ha.
Perché l’unica famiglia che conta, è quella felice.
La ringrazio per il tempo che vorrà dedicare a queste parole. Spero possa custodirle come voce sincera di un cittadino che ama profondamente il proprio Paese. E che a questo Paese chiede solo ciò che è giusto: la possibilità di essere padre.
Io, intanto, non smetterò mai di lottare, perché il mio desiderio di genitorialità, inteso come l’amore profondo, la cura e il sostegno incondizionato per un altro essere umano, merita di diventare realtà.
Con profondo rispetto,
Antonio De Padova