di Paolo Saggese
Sono anni che abbiamo ingaggiato una battaglia contro la cosiddetta “autonomia differenziata”, la “secessione dei ricchi”, un progetto politico che metterà in ginocchio il Sud, che provocherà la sua inesorabile fine e che segna anche la definitiva cancellazione della “questione meridionale”.
Il timore, confermato dai fatti, è che l’opinione pubblica sia abilmente sviata da una propaganda sottile, con intenzioni egemoniche, evidente nei mass media e nelle televisioni, quasi tutte allineate al “pensiero unico” dominante.
È molto probabile che l’“autonomia differenziata” si farà, a meno che la classe politica meridionale di centro-destra non dimostri un minimo di autonomia rispetto al volere della Lega, complici gli altri schieramenti elettorali.
Anche la protesta degli Amministratori comunali campani il 16 febbraio a Roma, guidati da Vincenzo De Luca, appare più una protesta folcloristica, da Masanielli, frutto di una jacquerie, purtroppo viziata da toni eccessivi, che non giovano alla discussione.
Tra qualche anno sarà evidente il “disastro”, che travolgerà il Sud, ma anche parte del Centro, in relazione a servizi essenziali (Sanità, Scuola, Università, futuro lavorativo), a diritti. Si sancirà ope legis la fine del cittadino italiano. Esisteranno cittadini regionali, “autonomamente differenziati”, con diritti e doveri molto diversi.
Il Sud sarà un deserto, i giovani saranno quasi tutti inesorabilmente in fuga.
Non meno preoccupante è il tentativo egemonico della destra, che tende non solo a riscrivere la storia del Novecento, ma anche a condizionare l’opinione pubblica attraverso i mass media.
Al proposito, sarebbe interessante rileggere la breve storia degli intellettuali tracciata attraverso tre saggi di grande interesse da alcuni filosofi di sicura fama e di certo valore. Il volumetto prezioso è “Intellettuali” di Zygmunt Bauman e Bruno Bongiovanni, Introduzione di Emanuele Coccia, Treccani Libri, Milano, 2024.
Nel tracciare una storia del nome (che si diffonde nella Francia di fine Ottocento a seguito del “caso” Dreyfus e del “J’accuse” di Zola, grazie all’intuizione di Georges Clemenceau) i tre filosofi illustrano anche l’evoluzione che l’intellettuale ha avuto negli ultimi secoli: prima, questa figura – che ambiva a condizionare l’opinione pubblica e a dialogare liberamente con la classe politica, ad essere “militante” ed espressione di un pensiero indipendente e disinteressato, autorevole, alla luce della propria storia individuale e del proprio prestigio culturale – proveniva e operava principalmente nelle Università (1880-1930). Successivamente, con la diffusione dei libri economici tra le classi medie, l’intellettuale prevalentemente lavorava e agiva all’interno di prestigiose Case editrici, che divenivano strumento di egemonia culturale e di lotta politica (1920-1960). In fine, con la “società dell’informazione”, l’intellettuale ha ingrossato le fila dei giornali, delle televisioni, dei media e oggi dei social.
L’intellettuale è adesso il giornalista televisivo, l’influencer, il cantante, l’attore, chiunque abbia ambizioni “intellettuali” accompagnate dalla notorietà (non dalla fama, ben altra cosa). È la notorietà a dare autorevolezza alla voce di un “intellettuale”, che adesso non è garante di nessuna “verità” superiore, ma spesso di opinioni superficiali affastellate nel vortice di Internet.
Un intellettuale può esser Ghali o Fedez o la Ferragni, Amadeus o il vincitore di Sanremo o Fiorello.
L’intellettuale tradizionale, lo “specialista”, che fonda le proprie proposte su studi rigorosi e che abbracciano l’arco di un’intera esistenza, è talvolta chiamato in causa per questioni tecniche (si pensi a Draghi o Monti, ai Ministri tecnici, ai Costituzionalisti, ai “virologi” in occasione del COVID). Ma anche quando è invitato in TV, in genere l’intellettuale “specialista” dovrà discutere con politici che hanno conoscenze superficiali del tema, di cui si sta dibattendo: perciò, le “teorie” di uno scienziato del clima valgono quanto le “opinioni” di un politico, che non ha mai letto nulla di specifico e che fonda le proprie idee su una banale “communis opinio” o peggio sulle “veline” del proprio “capo corrente”.
Norberto Bobbio ha dibattuto per anni su questi temi, sulla necessità che una democrazia non abbia bisogno di “politici incompetenti” e di “intellettuali competenti” lasciati ai margini, ma di “politici competenti”, liberi, attenti al bene comune e al funzionamento della democrazia. Evidente era la polemica con l’“intellettuale organico” gramsciano.
Oggi, i tempi sono irrimediabilmente cambiati e involgariti.
Non più l’“intellettuale competente”, che in genere non acquista “notorietà” attraverso i giornali, la TV, la Rete, potrebbe avere una forte incidenza in positivo sul destino di una nazione. Il nostro destino è regolato oggi da dilettanti forti del numero dei loro follower o dello schermo televisivo messo a loro disposizione da un “potere forte”.
L’“autonomia indifferenziata” e la sua attuazione sono legate a questi “intellettuali”, non alle proteste di De Luca o di migliaia di amministratori, non alle preoccupazioni di una parte consistente, ma appartata e senza voce, dell’opinione pubblica.
Viene in mente il destino dei poeti e scrittori meridionali non presenti nelle “Indicazioni nazionali” per i Licei emanate nel 2010.
Allora furono citati nel documento ministeriale diciassette tra poeti e scrittori italiani, ma nessun meridionale!
Quello fu un esempio evidente di egemonia culturale del Nord e del Centro sul Mezzogiorno.
Forse aveva ragione Norman Lewis, quando, nel suo diario di guerra “Napoli ‘44” (Adelphi, Milano, 1993, p. 71), scriveva: “Di fatto – qualsiasi italiano è pronto ad ammetterlo – il Sud è in pratica una colonia del Nord industrializzato”.