“Avvertenze sulla devolution della sanità italiana”. Così il titolo di un articolo pubblicato su ‘The Lancet’, autorevolissima rivista scientifica internazionale, che riporta il parere degli esperti sui “piani per garantire alle Regioni un’autonomia differenziata” che nel campo dell’assistenza sanitaria “rischiano di ampliare le disuguaglianze”.
“Semplicemente – sono le parole riportate del presidente della Fondazione Gimbe Nino Cartabellotta – sarà la fine del servizio sanitario nazionale”. L’esperto spiega che le regioni sono attualmente responsabili della pianificazione e dell’erogazione dei servizi sanitari, mentre a livello centrale lo Stato stabilisce i principi fondamentali e gli obiettivi del sistema sanitario, determina il pacchetto centrale garantito di servizi sanitari che dovrebbero essere disponibili e stanzia fondi nazionali per le Regioni. In base all’autonomia differenziata, le Regioni che scegliessero di farlo avrebbero invece il controllo totale su tutta la loro assistenza sanitaria.
Chi sostiene l’autonomia afferma che le risorse gestite localmente potrebbero ridurre lo spreco di risorse. Invece i critici sostengono che il decreto potrebbe avere conseguenze disastrose per la sanità italiana, ampliando il divario tra Nord e Sud.
Per Cartabellotta “il decreto è mal concepito” e il processo che avvierebbe potrebbe minare la solidarietà nazionale: “Assistiamo già a disuguaglianze nell’accesso alle cure” e negli “esiti” di salute, afferma il presidente di Gimbe. La speranza di vita nazionale è di 82,6 anni, è uno degli esempi che viene portato, ma ci sono differenze regionali – dagli 84,2 anni della provincia di Trento agli 81 della Campania – e in tutte le 8 regioni del Sud la speranza di vita è inferiore alla media nazionale.
Altro dato significativo: il tasso di mortalità infantile è di 1,8 morti ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma è quasi il doppio in Sicilia (3,3) e più del doppio in Calabria (3,9). Per quanto riguarda la copertura dei servizi sanitari, secondo quanto evidenziato nell’articolo pubblicato sulla rivista scientifica, è “iniqua” in tutto il Paese. Per esempio secondo l’Istituto superiore di sanità, nel periodo 2021-2022, circa il 70% delle donne di età compresa tra 50 e 69 anni si è sottoposta a mammografia e circa due terzi lo hanno fatto attraverso programmi di screening gratuiti. La copertura è dell’80% al Nord, del 76% al Centro e solo del 58% al Sud.