di Felice Santoro
Con Nova Gorica e Gorizia insieme, unica Capitale europea della cultura 2025, si parla inevitabilmente, e molto, dell’intellettuale Carlo Michelstaedter. Nell’ambito del XXI Festival internazionale della Storia, denominato “è Storia”, 26 maggio – 1 giugno, è stato presentato il giorno ventinove un volume con alcune sue poesie, tradotte in varie lingue, a cura dell’Istituto per gli Incontri Culturali Mitteleuropei (ICM), un omaggio al pensatore goriziano nella città dove è nato e morto tragicamente nel 1910, a soli ventitré anni. Il suo famoso scritto è La Persuasione e la Rettorica, stampato tre anni dopo, che in realtà costituiva la sua tesi di laurea spedita a Firenze, ma che non fu mai discussa perché decise di togliersi la vita. Su questo testo hanno riflettuto in tanti, da Pompeo Giannantonio agli irpini Aurelio Benevento e Mario Gabriele Giordano, recentemente scomparso, da Pietro Piovani ad Emanuele Severino, da Massimo Cacciari ad Angela Michelis.
Occorre ricordare che nel dicembre del 2011 Fausto Baldassarre ha pubblicato un denso saggio dal titolo Il cielo di Carlo Michelstaedter, arricchito da una robusta bibliografia. L’autore ha insegnato Storia e filosofia presso il “Colletta” di Avellino e Filosofia della religione e Storia della filosofia presso l’Istituto di Scienze religiose della città. Consulente storico del film dell’irpino Tordiglione su Teresa Manganiello, che ha a lungo studiato, si è soffermato sul filosofo Troiano e su figure quali Ugo Spirito e Tommaso Moro.
La prefazione è di Daniela Calabrò, docente dell’Università di Salerno, la quale sottolinea come Baldassarre abbia saputo cogliere il disagio esistenziale e come durante l’intero studio sia stato in grado di dare ad esso un senso. Il testo è diviso in dodici capitoli che sono intensi, coinvolgenti e appassionati. Il professore accompagna il lettore lungo e dentro un pensiero, trasmettendo le ansie e gli entusiasmi, le delusioni e le amarezze di un filosofo originalissimo e assai inquieto.
Nell’Introduzione rimarca l’influenza di De Sanctis, che notoriamente lega l’arte alla vita, per cui il goriziano “reagisce alla tecnicizzazione, alla disumanizzazione, alla frantumazione specialistica e alla feticizzazione dei saperi”. Poi prosegue evidenziando come recepisca le filosofie che cercavano “il concreto fondamento della vita in opposizione alle astratte concezioni idealistiche e alle oggettività immobili del materialismo”. E al riguardo individua relazioni con le idee di Schopenhauer, Nietzsche, Bergson, Dilthey, Simmel, Husserl, Spengler e Scheler. Aggiunge che il giuliano ha colto la crisi della società borghese e ricorda che degli intellettuali diceva «non conoscono l’anima loro, che digiuna mentre essi ipernutriscono l’intelletto… credono di sapere lo scibile e non conoscono se stessi»; il capitolo secondo è scolpito nel pregnante titolo “La modernità malata”.
Il pathos, che accompagna il lettore, cresce con l’avanzare delle sottolineature di Baldassarre che restituiscono l’immagine di chi vive le inquietudini del tempo insieme a Michelstaedter, di cui coglie tanti elementi su cui indagare ancora. La vanità, la superficialità e l’omologazione dominante; la gabbia dell’ideologia ,«l’attività materiale si svolge senza quella spirituale”; il potere del denaro, gli esseri umani «maschere che recitano sul palcoscenico borghese, … la verità che viene falsificata … l’esclusiva e vana ricerca del piacere». Ed ancora, rimarca la propensione per la democrazia e l’esigenza della libertà e riporta un’espressione del filosofo su quale sia la strada da seguire nella vita: «Sta all’iniziativa individuale crearsi fra il caos universale la via luminosa».
Baldassarre ritiene che sia la « mancata fratellanza» ciò che lo angosci di più ,«e questa melanconia io la materializzo in tutte le cose che mi circondano…» e definisce lo status dell’uomo del tempo in questo modo: “La spoliazione della persona del suo sentimento, del suo autentico rapportarsi all’altro”.
Il saggista irpino riprende la critica alla “rettorica” che tende a persuadere senza convincere e intravede nelle posizioni del filosofo l’urgenza di cambiamenti che devono essere innanzitutto culturali e linguistici prima che sociali. La vita per il goriziano non può avere certezze prefissate, perché è una sfida . “Vita, via e dolore risultano così intrecciate” e la soluzione sta nel comprendere quanto accade e non nel rassegnarsi, così continua Fausto Baldassarre. L’esistenza corre il rischio di non essere autentica se si vive nel conformismo e con la “logica del profitto” che si radica dovunque e nella sua idea della morte traspare un barlume di eternità. Emerge “un radicale nuovo umanesimo” che deve incentrarsi sul dono che spezza i discorsi inerenti ai calcoli economici, si oppone alla “mercificazione delle relazioni umane” per giungere ad una “liberazione del soggetto dall’avere” ed approdare “all’uomo nuovo”.
A questo punto è il filosofo che parla: «Smascherare la rettorica, decostruire l’egoismo, riconoscendo nell’altro non l’opposto, ma il distinto da me, a me identico nella condivisione della vita».
Baldassarre acutamente evidenzia che a Michelstaedter interessano la qualità dei rapporti, la costruzione di una comunità che non è il prodotto di una rivoluzione ad opera di intellettuali né di una classe sociale “ma è frutto di un processo educativo … ispirata ai valori della pace, della fratellanza, della giustizia”. Emerge anche un’apertura al trascendente, una richiesta di religione autentica, non esteriore, un’ammirazione per il Cristo che ha presentato una verità che si è incarnata; la dimensione teologica non è estranea al significato della vita e traspare quando il filosofo dice «non è che voler continuare: gli uomini vivono per vivere: per non morire».
Ma a quale cielo, per riprendere il titolo della pubblicazione, si rivolge il filosofo? “ Mantenere viva la tensione verso l’infinito”, il dilatare la dimensione del finito, aprirsi al prossimo, superare l’individualismo, con una feroce critica della borghesia che ha promosso il falso valore dell’apparenza, il razionalismo esasperato, perché, aggiunge l’ex docente del “Colletta”, “bisogna combattere contro quell’essere straniero a se stesso”. Conclude il suo scavo nell’intelletto e nel cuore del goriziano e nelle contraddizioni della modernità, offrendo una traccia per l’interpretazione di una personalità tanto complessa e lacerata con il sostenere che ‘l’apertura verso il mistero, verso l’ignoto, è il senso profondo e nascosto della sua tormentata ricerca’.