Una poesia di Monia Gaita
Abbiamo smesso di lottare,
abbiamo rinunciato a quell’avanzo di indignazione
che restava.
Oggi i paesi sono un santuario
per gli uccelli e per i vecchi
che di sicuro possiedono soltanto l’artrite,
la casa e la pensione.
Abbiamo smesso di investire nel coraggio.
I giorni muoiono di crepacuore davanti ai nostri occhi.
Eppure intorno sembra tutto normale:
nessuna porta sfondata
o una finestra dal vetro rotto.
Nessuno che gridi, nessuno che indichi un’uscita,
nessuno che sappia più farci innamorare
nelle vescicole dell’anarchia e dell’impermanenza,
nelle frattaglie di un almeno che si ostina
a respirare.
La politica redige l’inventario dei cocci,
esorta i suoi feriti perenni a camminare.
Le viti colano gocce di liquido dai tagli,
lasciano crescere i germogli,
piegano il corpo sotto i grappoli maturi.
Le ore non vanno da nessuna parte,
le garze sterili sono imbevute di stanchezza.
Affogheremo
per un boccone storto di fortuna nella gola,
muti.