di Rosa Bianco
C’è un punto, nel cuore dell’Irpinia, dove il tempo non è più lineare, ma circolare. Dove il passato non è passato, ma presenza che interroga. Montefusco, antico presidio di pietra e silenzio, si fa ancora una volta soglia: non solo geografica, ma esistenziale. “Chi trase a Montefusco” non è un evento: è un attraversamento. È il rito di un varco. Nel suo carcere, lo “Spielberg dell’Irpinia”, si condensa la condizione umana più profonda: la tensione tra libertà e necessità, tra storia e destino. Eppure, proprio lì dove la pietra è stata testimone della costrizione, si apre oggi uno spazio di pensiero, di parola, di comunità. Venerdì 8 agosto, con l’inaugurazione del ciclo “Racconti di pietra e di pane”, inizieremo un percorso che è prima di tutto interiore. Avrò l’onore di dialogare con Francesco Celli, presidente dell’associazione Info Irpinia, in un incontro che non vuole solo informare, ma trasformare. Parleremo di territorio, sì, ma soprattutto di appartenenza. Di ciò che resta quando tutto passa. Di ciò che si costruisce restando. La visita serale al Carcere sarà poi un momento sospeso, un ascolto del silenzio che le pietre custodiscono. Ogni passo sarà una domanda, ogni eco un richiamo. Domenica 10 agosto, la rievocazione teatrale “Chi trase a Montefusco” ci condurrà dentro la verità profonda della Storia: quella che non si legge nei libri, ma si respira nei luoghi e nei corpi. Lì, il teatro diventa atto politico, gesto filosofico, esercizio di memoria collettiva. Chi entra in quel carcere, anche solo da spettatore, non ne esce indifferente. Il progetto, inserito nel programma 2 V.I.T.E. e realizzato con la Pro Loco di Montefusco, non celebra semplicemente il passato. Ci chiede invece di viverlo come leva per il presente, come fondamento per una rinascita possibile. È un invito a restare, a pensare, a partecipare. In un tempo che corre veloce e spesso svuota di senso le parole, Montefusco ci restituisce la profondità. Ci ricorda che la cultura non è intrattenimento, ma resistenza. E che la memoria non è nostalgia, ma gesto rivoluzionario.