Di Gerardo Salvatore
La libreria editrice Vaticana e Solferino ha promosso, lo scorso 19 settembre, l’uscita del libro di Papa Francesco “Io avrò cura di te. La chiamata per il bene comune” curata da Riccardo Bonacina, con prefazione di Ferruccio de Bortoli. Con questo ennesimo contributo editoriale Papa Francesco “invita a non ripiegarsi su sé stessi, a rifuggire le tentazioni egoistiche e narcisistiche per aprirsi alla realtà e ai bisogni”. Un cammino in uscita, quindi, contro l’indifferenza, la comoda opzione della poltrona davanti alla televisione o di portare a spasso il proprio cane. Scegliere di essere persone in uscita è una definizione giusta della propria libertà perché apre alle realtà quotidiane e agli altri. Nello scrivere queste modestissime righe io stesso avverto il senso di un volontariato gratuito, senza nessun riscontro economico, certo di arrivare al cuore di tante persone motivate che, spesso incontrandomi per strada si fermano per salutarmi e pormi qualche domanda sull’ultimo articolo pubblicato sul nostro settimanale. Cosicché mi appaga il senso dell’incontro con gli altri, in un momento storico in cui prevale la strada dello scontro, da quello verbale a quello bellico che oscura l’orizzonte delle nostre comunità e dell’intero pianeta. L’invito del Papa è un richiamo ad incontrarci in un “noi” che sia parte della somma di piccole individualità, con gesti, contributi di umana solidarietà. Credo che tentare di essere, oggi dei buoni aspiranti cristiani si concretizza proprio con l’incontro. Quando la mattina mi reco in edicola per ritirare la stampa quotidiana ho modo di osservare come la persona anziana, in difficoltà nella deambulazione, usa il carrello della spesa per poggiarsi, la badante dei paesi esteri che cerca lavoro, il povero pensionato al minimo che cerca un patronato per chiedere notizie circa gli annunciati aumenti delle pensioni e allora, mi accorgo nel mio piccolo ambito relazionale, di quanto ci sia un diffuso bisogno di essere persona in uscita. Davanti a tanto dolore, a tante ferite che quotidianamente la televisione ci trasmette, l’unica via d’uscita è essere come il buon samaritano verso i tanti bisognosi, da quelli più gravi a quelli più lievi per i quali basta una parola, una indicazione, talvolta l’aiuto per pochi metri per essere persona in uscita. La speranza di una comunità solidale allora non è una utopia: è possibile dimostrarlo, sempre e comunque, con piccoli gesti, affrancandosi dalla deleteria sindrome dell’indifferenza. Il bene comune non è mai stato un mero postulato politico o giuridico, ma è sempre stato, è, e sarà, un cammino da percorrere con umiltà e impegno. Forse sarà, anche, questa la via per offrire un esempio concreto ai nostri figli, ai nostri nipoti, disorientati da tanti strumenti tecnologici che rischiano di robotizzare la loro dimensione umana e sociale. Libertà in uscita, dunque, per incontrare gli altri e «sporcarsi» le mani nel loro bisogno e nella loro sofferenza.