Il prossimo 3 agosto inizia il semestre bianco, è il periodo durante il quale il Capo dello Stato non può più sciogliere le Camere. I nostri padri costituenti hanno inserito questa norma nel timore che un presidente della Repubblica, pur di farsi rieleggere, potesse fare pressioni sul Parlamento anche arrivando a scioglierlo, confidando che le nuove Camere gli siano più favorevoli. La Costituzione è nata con una forte impronta anti fascista e con l’obiettivo di evitare l’affermarsi di una personalità che potesse avere troppi poteri. Quindici anni dopo l’approvazione della Carta, l’allora capo dello Stato Antonio Segni in un messaggio alle Camere del 1963, espresse “la convinzione che fosse opportuno introdurre in Costituzione il principio della non immediata rieleggibilità del Presidente della Repubblica. In quell’occasione Segni definiva “il periodo di sette anni sufficiente a garantire una continuità nell’azione dello Stato”. Inoltre – aggiungeva – “la proposta di modifica vale anche ad eliminare qualunque, sia pure ingiusto, sospetto che qualche atto del Capo dello Stato sia compiuto al fine di favorirne la rielezione”. Di qui l’affermazione che “una volta disposta la non rieleggibilità del Presidente, si potrà anche abrogare la disposizione dell’articolo 88 comma 2 della Costituzione, che toglie al Presidente il potere di sciogliere il Parlamento negli ultimi mesi del suo mandato”. La proposta Segni restò inascoltata ed è stata richiamata e fatta propria dall’attuale Capo dello Stato Mattarella che, qualche mese fa, l’ha rilanciata nella speranza, probabilmente, che in un futuro non lontano, si possa rimettere mano ad alcuni aspetti della Carta ed inoltre quelle parole chiariscono che sarebbe tempo sprecato chiedere un suo bis al Colle. Il richiamo di Mattarella è rivolto soprattutto ai partiti, perché nei prossimi sei mesi, durante i quali al Quirinale è sottratta l’arma dello scioglimento, ci sia un grande senso di responsabilità per evitare che il governo Draghi possa vacillare al primo stormir di fronde. Nessuno al momento appare così folle da trascinare il Paese in una situazione rischiosa che, solo per fare un esempio, potrebbe farci dire addio ai miliardi europei destinati alla ripresa dopo la tragedia del Covid. Le tensioni attraversano però la coalizione di governo e gli schieramenti. Nel centrodestra è evidente la divisione tra Salvini e Meloni che hanno scelto tra mille difficoltà i candidati a sindaco e poi si sono scontrati sulle nomine Rai. Non molto diversa la situazione tra PD e Cinque Stelle, Letta e Conte devono decidere quale alleanza costruire in vista delle politiche e come dare vita ad un fronte ampio che possa battere un centrodestra favorito, per ora, dai sondaggi. Dunque i motivi per scatenare potenziali conflitti ci sono ma come ha osservato Marzio Breda, un analista attento a tutto ciò che accade sul Colle, il capo dello Stato perde il suo potere più penetrante ma resta un protagonista assoluto: “Mattarella avrà davanti a sé sei mesi nei quali si troverà le mani legate, mentre i partiti si sentiranno più liberi di giocare duro e magari di contrapporsi fra loro con calcoli spericolati, specie se le forze politiche che sostengono il governo Draghi. C’è chi comincia ad almanaccarci sopra, senza considerare che il Quirinale resta sempre e comunque la camera di compensazione di ogni crisi. Con un ruolo, se non neutralizzato, almeno di freno d’emergenza”. I partiti però, rischiano di fare la stessa fine dei capponi di Renzo, che erano destinati in pentola, ma anziché starsene buoni “s’ingegnavano a beccarsi l’uno con l’altro, come accade troppo sovente tra compagni di sventura”. Ecco una crisi durante il semestre è molto pericolosa e non è un caso che un simile rischio il nostro paese non lo ha mai corso.
di Andrea Covotta