In questi giorni è uscito un CD del musicista irpino Mario Cesa, interpretato dal violoncellista Sergio De Castris e dal pianista Giuseppe Giulio Di Lorenzo. Un po’ sorprende l’inusuale titolo, iperbato di ‘Luces cum matre’… In ogni caso, l’opera è ispirata alla figura materna e a un vissuto pre-razionale, che suggerisce una chiara simbologia, sostenuta da qualche osservazione tecnica.
Il brano ha un netto carattere dialogico, due voci si fanno eco: ‘Madre-figlio’, o forse anche ‘Io-Me’ … Le sonorità sono estreme, in opposizione tra note gravi e suoni acuti, tessuti in frasi che sembrano ascoltarsi. Ma perché è assente uno sviluppo dei temi? Ed invece infinite sono le variazioni, così libere e fuori dagli schemi? Forse perché anche la comunicazione intrafamiliare è spesso estemporanea, così come il rimuginare interiore: fatta di insofferenze e asperità, ma anche di imprevedibili delicatezze… indiscusso affetto..
Di conseguenza, il brano ha la sregolatezza di una discesa nell’abisso di una non rielaborata memoria.
E tutta la relazione figlio-madre appare espressa con un’allegoria musicale: un lungo vissuto, compreso tra la tempestosità dell’inizio e un finale pacificato… uno spegnersi nel nulla, alla presenza della madre, che tutto illumina del nostro inquieto essere al mondo, racchiuso tra due urne, il materno utero e la sepolcrale tomba.
Che tutta la composizione possa preludere all’ideazione di qualche performance di tipo inter-artistico? Ci induce a pensarlo anche il carattere ‘discorsivo’ di questa linea di ricerca.
Gina Ascolese