Sono due documenti preziosi quelli che consegna lo studioso Annibale Cogliano – da oggi in edicola con il Quotidiano del Sud – parte integrante di uno studio dedicato all’Irpinia nella grande guerra. Il primo volume si sofferma sulle rivolte che caratterizzano la provincia tra la primavera del 1917 e quella del 1918 per proseguire fino alla fine della guerra. Ad accendere i tumulti sono i problemi annonari, a partire dalla requisizione del grano e ma è chiaro che si caricano di un valore di protesta contro la guerra, a partire dalla richiesta di ritorno dei propri congiunti, costretti a combattere al fronte. E se il malcontento deriva soprattutto dalla mancanza dei generi alimentari, è accresciuto dalla paura per le notizie degli orrori nelle trincee che traspaiono dalle lettere dei soldati o dai racconti di chi torna in licenza. Di fronte a simili tumulti la scelta del prefetto e delle autorità periferiche sarà quella della repressione, ignorando almeno in parte le disposizioni del ministro dell’interno Orlando che consigliavano maggiore prudenza. Ma “le rivolte – esprimono anche il rancore e l’odio per l’ingiustizia sociale nella distribuzione delle sofferenze, per gli imboscati, per i ricchi che riescono a collocare i figli nelle retrovie o in zone e servizi lontani dal fronte, per gli esoneri militari di favore, per gli speculatori, i profittatori e gli accaparratori per i pescecani di guerra, individuati più localmente che nel governo lontano, negli agenti delle requisizioni, nei panettieri fraudolenti, nei commercianti, negli appaltatori, nei sindaci, negli amministratori, negli agenti delle imposte”. Non ha dubbi Cogliano, le rivolte sono un’accusa al sistema sociale e politico che ha voluto la guerra. Ad Avella saranno in settecento a radunarsi nella piazza antistante il municipio. A guidare la protesta le donne che chiedono alle autorità comunale di acquistare direttamente il grano, fino a quel momento fornito ai soli panettieri per la panificazione. Seguirà l’assalto al municipio con la distruzione di mobilia e documenti che sono bruciati nella piazza sottostante. 46 persone saranno arrestate, accusate di danneggiamento aggravato in concorso. Cogliano si sofferma su un particolare, le 150 donne che occupano la piazza sono lì perché attendono la distribuzione della posta militare che non avviene a domicilio. Ma per il procuratore della Corte di appello di Napoli la scarsità di pane e l’aumento del prezzo sono solo un pretesto della sommossa. Per il tenente dei Carabinieri la regia occulta è quella del partito avverso all’amministrazione. La condanna sarà mite per 40 dimostranti, saranno tutti rimessi in libertà tranne 5 imputati colpevoli di resistenza e violenza ai Carabinieri. In breve rivolte esploderanno a Bisaccia con la resistenza alla requisizione e a Nusco dove a protestare saranno i contadini armati di falce, scure e roncole. “Vogliamo il pane!Vogliamo i mariti!” saranno gli slogan gridati durante le due giornate. In piazza lavoratrici giornaliere nullatenenti, mogli di modesti contadini. Agitazioni popolari che si accendono con maggiore violenza in paesi in cui il governo locale è più debole, come a Nusco retto da anni da commissari prefettizi.
E’ dedicato, invece, allo squadrismo in Irpinia il secondo opuscolo. Uno squadrismo profondamente diverso da quello del centronord, non ci sono, infatti, agrari o industriali che devono difendere con la violenza profitti e proprietà da operai o braccianti. La violenza dilaga dagli inizi del 1922 al maggio del 1923, colpisce nazionalisti, legionari, reduci, amministratori comunali liberali. Cogliano distingue tre tipi di squadrismo, un primo che vede protagonisti minoranze studentesche ed ex combattenti, un secondo tipo che si afferma subito dopo la marcia su Roma, nelle neonate sezioni fasciste, godendo di una impunità, grazie ai prefetti protempore, magistratura e forze dell’ordine. Sotto accusa le amministrazioni comunali che resistono al fascismo. In Irpinia sarà quasi tutto il notabilato irpino dello Stato Liberale a entrare nelle fila del Partito Nazionale fascista con poche eccezioni. Il terzo tipo di squadrismo sarà rivolto contro ex fascisti o fascisti dissidenti. Tante le azioni violente, a partire da Ariano nel gennaio nel 1922 in occasione del festeggiamento del terzo anniversario della fondazione del Circolo giovanile con una parte che aderisce al fascio e l’altra che si dissocia. Fenomeni analoghi si registrano a Serino, Salza, Monteleone, Lioni, Lacedonia tra ferimenti, omicidi, occupazioni di circoli, devastazioni di sedi per concludersi con pacificazioni coatte. Ma è ad Avellino che si consuma la tragedia più devastante dello squadrismo irpino con la morte di Gino Buttazzi da parte di un suo compagno, intorno al quale si creerà un vero mito. E’ il 21 maggio del 1923 quando un gruppo di fascisti capeggiati da Tommaso Labia, studente della Scuola Enologica, provocano Ciro Zeccardi e Lazzaro Battista e li aggrediscono Zeccardi viene accompagnato in questura, Battista annuncia di voler querelare gli aggressori. Poi la tragedia, Zeccardi si presenta in questura e annuncia la morte di Buttazzi, colpito, a suo dire da tre colpi di rivoltella sparati da Lazzaro. Comincia l’aggressione degli squadristi che chiedono la chiusura dei negozi per lutti, incendiano suppellettili fino a giungere al Circolo dei ferrovieri. Gli agenti non riescono a fermarli, a loro sostegno arriva il console della legione irpina della Milizia Fausto Fatti accompagnato da 200 fascisti. La città viene messa a ferro e fuoco con numerosi ferimenti e cinque uccisi. La calma arriverà solo con i funerali di Gino Buttazzi. Il prefetto denuncerà una trentina di fascisti – ma non il console della milizia – per l’aggressione al socialista Alfredo Spagnuolo e il danneggiamento del Circolo ferroviario. Ma uno solo sarà l’arresto, Ettore Tommasoni, che ha ucciso Ettore Sansone. Tutti saranno assolti o godranno di una nuova amnistia che il Duce concederà. Lo stesso prefetto, malgrado gli ordini del Ministro dell’Interno di arrestare i dirigenti fascisti se autori di disordini, si limiterà ad eseguire solo in apparenza gli ordini. In questo contesto gli unici a scendere in campo in difesa della democrazia saranno gli esponenti della Massoneria con una denuncia sulle pagine del periodico “La fiaccola”. La direzione nazionale fascista sceglierà, a causa della risonanza nazionale degli eventi, di sostituire il dirigente regionale provinciale, console, segretario e direttorio provinciale, sciogliendo la milizia, procedendo ad un rimpasto con la pacificazione delle fazioni fasciste in lotta tra loro. Ma lo studio di Cogliano si sofferma anche sui rigurgiti dello squadrismo all’indomani delle elezioni del 6 aprile 1924 che segneranno la vittoria del listone di Mussolini. Malgrado ciò il fascismo non esiterà a liquidare alcuni conti lasciati in sospeso colpendo uomini come Giuseppe Leonida Capobianco, originario di Monteverde tra i leader del Movimento Combattenti Irpini o Pietro Cristino, irriducibile socialista