di Paolo Saggese
Poiché non ho proprietà, e tanto i miei famigliari quanto i collaboratori del Centro sanno bene cosa fare con le loro teste, non c’è alcun bisogno che io scriva un testamento. Ma una formale volontà voglio qui esporre: desidero essere sepolto – a suo tempo – tra gli olivi del Borgo, non lontano dai ragazzi per cui soprattutto ho lavorato nella mia vita, e per cui conto ancora di lavorare. – Partinico, 5 dicembre ‘70”.
Con queste parole Danilo Dolci il “Gandhi italiano” (Sesana, Triste, 1924 – Partinico, 1997), apriva e chiudeva il suo “testamento”, che da solo già dimostra la grandezza di un meridionalista del Nord, che dal 1952 e sino alla morte dedicò la sua esistenza agli ultimi, ai bambini e ai miseri braccianti di una Sicilia dimenticata, con uno sguardo al pianeta intero, spinto nel suo impegno dalla tragica povertà di quegli anni, che registrava persino bambini denutriti nell’isola dei Ciclopi al punto di morire letteralmente di fame.
La sua figura, a più di cento anni dalla nascita, richiama per vari aspetti quella del pedagogista Paulo Freire, quella “pedagogia degli oppressi” e della speranza, che lo porterà a lottare per la realizzazione della diga sul fiume Jato, che avrebbe migliorato l’agricoltura locale e le condizioni di vita dei contadini e delle famiglie, costretti alla fame o all’emigrazione, per la realizzazione delle cooperative agricole, quindi del Centro di Formazione al Borgo di Trappeto e del Centro Educativo Sperimentale di Mirto a Partinico.
La straordinaria figura di Dolci, sociologo, pedagogista, educatore, pacifista, attivista nonviolento, scrittore, poeta, protagonista di storiche battaglie per la democrazia e contro le mafie e la sottocultura clientelare e mafiosa, è adesso lumeggiata ulteriormente grazie ad un libro di alto valore che è stato riproposto in occasione del centenario della nascita a firma di Giuseppe Barone: “La forza della nonviolenza. Bibliografia e profilo biografico di Danilo Dolci. Con contributi di Viola Ardone, Norberto Bobbio, Gaspare Giudice, Mario Luzi” (Libreria Dante & Descartes – Centro per lo Sviluppo Creativo “Danilo Dolci”, Napoli, 2024), riedizione ampliata e arricchita del volume omonimo edito la prima volta nel 2001 (seconda edizione nel 2004), con ampi aggiornamenti.
Si tratta di un libro, in cui Barone dimostra una perizia e una precisione notevoli, che consentono al lettore comune come allo specialista di avere tutto ciò che risulta necessario per inoltrarsi in uno studio approfondito e originale sulla figura di Danilo Dolci. La “nota” di Viola Ardone in poche righe ci propone un ritratto vivido dell’intellettuale, che vivifica il suo pensiero con l’azione, che fonda il suo agire sull’“ottimismo della volontà”, che sopravanza il “pessimismo della ragione” (p. 5), che pone al primo posto il dialogo maieutico e il confronto continuo da “maestro di nonviolenza, maestro di dialogo, alunno del mondo”, “fautore di una pedagogia dell’ascolto e della scoperta dell’altro” (p. 7), che ritiene che “ciascuno cresce solo se sognato” (come recita una sua celebre poesia).
La testimonianza simpatetica di Norberto Bobbio rievoca il processo per lo “sciopero alla rovescia” del 1956, che vide l’intellettuale difeso da Piero Calamandrei, con la testimonianza di Carlo Levi, Elio Vittorini, e il sostegno di tanti tra cui proprio Bobbio, che ne ammira la rettitudine, la saggezza, l’equilibrio, il desiderio di ricerca della verità, la solidarietà umana, la condivisione e la tolleranza, l’umanità, che lo induceva a domandarsi: “[…] quanti fra coloro che la società condanna come banditi avevano avuto i mezzi sufficienti per sfamare sé e la propria famiglia” (p. 10). La “predica” doveva essere sempre accompagnata dalla “buona azione”, altrimenti era solo un banale atto di ipocrisia.
Mario Luzi scandaglia il mondo poetico di Dolci, sottolineando come “per accostarsi alla sua poesia bisognava entrare un po’ nel suo territorio, che era intriso di intenti didascalici” (p. 12), e che mirava alla realizzazione di un’utopia, dell’impossibile, di una nuova visione della vita e della realtà.
Gaspare Giudice richiama la necessità di accostarsi ai libri del maestro senza badare al “godimento estetico” (p. 17), perché si tratta opere corali che andavano a auscultare il cuore del popolo per trovare la verità.
Giuseppe Barone traccia una breve ma densa biografia di Dolci (“Chi tace è complice”, pp. 23-43), in cui delinea la figura dell’educatore, che faceva della “maieutica socratica” uno “sviluppo maieutico reciproco” (p. 24), del nonviolento, che promuoveva l’obiezione di coscienza, che condannava aspramente la vergogna della miseria, che causava la morte dei bambini, e delle case di paglia e di fango dei “servi della gleba” dei “feudi di Turrumè e Tudia”, il cui stato di degrado era tenuto nascosto e occultato dalle stesse forze dell’ordine, che ne impedivano la documentazione (pp. 28-29). E poi Barone analizza lo “sciopero alla rovescia”, i ventisei processi, che Dolci dovette affrontare, le campagne denigratorie, ma anche il sostegno di tanti intellettuali di fama nazionale e internazionale (tra cui Carlo Levi, Fromm, Russell, Piaget, Huxley, Sartre, Ernst Bloch, Freire, Galtung …), la diga del fiume Jato, le cooperative, i Centri educativi, il desiderio di “tradurre l’utopia in progetto” (p. 34), la condanna della politica e della Chiesa asservite alla mafia, la lotta contro la mafia, la politica della piena occupazione, il valore dell’“autoanalisi popolare”, il carattere normativo e conservatore della scuola tradizionale (Barone, pp. 90, 92-93), le accuse dello stesso clero contro l’intellettuale, la testimonianza e l’impegno per la pace nel mondo, la centralità della scoperta nell’educazione, il dovere di ogni docente di comunicare, non di trasmettere, il fascismo sempre vivo.
Preziosissima è la “Bibliografia e percorso di lettura” (pp. 45-105), in cui Giuseppe Barone fornisce un elenco credo completo dei libri e spesso delle riedizioni delle opere di Dolci, con una breve presentazione, che fornisce anche agli studiosi le coordinate essenziali per sapere quale sia stato il contributo dell’intellettuale e quale la funzione dello scritto nelle sue battaglie ideali.
Ad esempio, interessantissimo e da rileggere è il volume “Fare presto (e bene) perché si muore”, Torino-Firenze, De Silva, 1954, dedicato alla drammatica situazione siciliana, al tentativo di aiutare tanti disperati: “basta che ci si muova da fratelli”, ammonisce, “da padri tra i più miseri – perché chi potrebbe e dovrebbe aiutare, per lo più ci sbatt(e) fuori dalla porta. Ci hanno sputato addosso. Proprio sputo vero, saliva, oltre le calunnie” (dall’“Introduzione” e citato a p. 51).
Volume prezioso è il “Processo all’articolo 4”. Nella documentazione di Achille Battaglia, Norberto Bobbio, Piero Calamandrei, Alberto Carocci, Federico Comandini, Danilo Dolci, Mauro Gobbini, Vittorio Gorresio, Carlo Levi, Lucio Lombardo Radice, Maria Fermi-Sacchetti, Nino Sorgi, Nino Varvaro, Gigliola Venturi, Elio Vittorini (Torino, Einaudi, 1956), in cui l’intellettuale è sul banco degli imputati per lo “sciopero alla rovescia”: “Nonostante le precedenti diffide e l’opera di persuasione svolta dagli organi di polizia, il Dolci e gli altri imputati hanno persistito nella loro attività criminosa organizzando e capeggiando l’arbitraria invasione di una trazzera demaniale da parte di un rilevante numero di braccianti, usando violenza per opporsi agli ufficiali ed agenti della forza pubblica intervenuti per il ripristino dell’ordine pubblico violato. Tale condotta e le condizioni di vita individuale e sociale del Dolci sono manifesti indici di una spiccata capacità a delinquere del detto imputato” (dall’“Ordinanza del tribunale di Palermo”, in Barone, p. 55).
Ci addentriamo anche nel suo metodo pedagogico, attraverso le parole di Gianni Rodari: “Tre sono, per lui, i fondamenti di un ‘nuovo educare’. Anzitutto, il rifiuto della forma-lezione. Poi la constatazione che ‘si sa veramente solo quanto si scopre e si riscopre’. Infine, la maieutica come ‘necessità di sviluppare in ciascuno la capacità di scoprire, di creare, di promuovere necessari conflitti’” (Gianni Rodari, “Nota a D.D.”, “Il ponte screpolato”, Torino, Stampatori, 1979 – Barone, p. 85).
Forse la riflessione più adatta sulla figura di Dolci la diede Erich Fromm, quando asseriva con semplicità: “Dolci pensa che sia possibile ciò che la maggior parte della gente ritiene impossibile e lo dimostra non tanto a parole ma attraverso le azioni nella vita quotidiana” (seconda di copertina del libro).
E non meno ragione aveva Roberto Saviano, quando scriveva che il verso “ciascuno cresce solo se sognato” “significa che io cresco solo se faccio parte del sogno di qualcun altro, significa che perché una comunità cresca, a volerlo – anzi, a sognarlo – devono essere le persone che ne fanno parte” (“Non smettiamo di sognare”, “L’Espresso”, 9 maggio 2013 – Barone, p. 80).
Mentre si discute delle “Nuove Indicazioni nazionali”, mi sembra che questa sia la migliore risposta adatta alla scuola del futuro.



