Si avvia verso il quasi obbligatorio traguardo delle elezioni anticipate una delle più concitate e anomale crisi di governo della nostra storia repubblicana. Proprio questa prospettiva rischia, però, di riaprire e di ingigantire a dismisura le ferite e gli effetti nefasti dei tanti giochi svolti sulle spalle del Quirinale e dell’italia. La irresponsabilità politica della Lega che, pur di riuscire a ottenere le urne anticipate, ha attuato – dietro le quinte di uno spettacolo fasullo – una vera roulette russa delle istituzioni. La disinvoltura del M5S, che, finito a rimorchio della spregiudicata ma avvolgente iniziativa leghista, non ha trovato di meglio che deporre in armadio il doppiopetto indossato negli ultimi tempi. E ha riscoperto di nuovo i motivi più rozzi della polemica anti-istituzionale, fino alla infondata (ma spettacolare sul piano elettorale) richiesta di impeachment del Capo dello Stato. Assecondata da una Meloni desiderosa di riemergere dal cono d’ombra in cui la dissoluzione del centro-destra l’ha cacciata. Poi i silenzi vigliacchi della altre forze politiche, a cominciare dal Pd, che pure ha espresso tutti i premier e i Capi dello Stato recenti. Infine, il dilagare della diffusa, italica ignoranza costituzionale favorita dal furbesco inguattamento di buona parte del mondo istituzionale, accademico e culturale.
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Il tortuoso sviluppo della lunga crisi di governo è stato segnato da una serie di anomalie. Innanzitutto la rapidità con cui è stato smascherato l’equivoco, favorito dal Rosatellum e perpetrato dal centrodestra e dal centrosinistra, delle coalizioni elettorali. Così per la pseudo-coalizione Pd-Bonino-Lorenzin. Altrettanto è accaduto a quella di centrodestra. Lacerata da profonde diversità politiche e da contrasti anche di natura personale. Non dichiarata formalmente sciolta dai contraenti. Ma certamente divisa dalle divergenti scelte di governo. Altra anomalia, l’assenza – quasi per l’intera durata dei negoziati tra M5S e Lega – della figura di un Presidente del Consiglio condiviso e designato. La tardiva comparsa dal cilindro politico del prof. Conte ha permesso di ricondurre a stento l’intera vicenda nell’alveo costituzionale. Le regole richiedono che il premier non sia – e non appaia – una mera figura notarile di scelte operate da altri, sia nella formulazione del programma che nella individuazione dei ministri. Ulteriore anomalia, anche questa accettata da Mattarella,’individuazione di un tecnico come premier, mentre il Capo dello Stato aveva richiesto che a capo di una coalizione politica di inizio legislatura vi fosse un eletto.
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Al netto dell’italica retorica sulla scrittura della storia, degli avvocati del popolo e delle tante “sgrammaticature” istituzionali, Mattarella ha accompagnato con serietà e lealtà il cammino delle forze del contratto di governo. Ha sorvolato sulle macroscopiche anomalie, suscitando anche i mugugni delle altre forze politiche. Ha concesso i tempi lunghi richiesti. E perfino accettato, da ultimo, gli irrituali colloqui con Salvini e Di Maio. Ha firmato diciannove decreti di nomina dei ministri proposti. Il rifiuto della sola nomina del ministro dell’economia rientra nelle sue prerogative (“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su sua proposta, i ministri”: art. 92 Cost.), come nelle ultime ore hanno finalmente sottolineato molti autorevoli costituzionalisti. Ha tutelato i principi generali dell’ordinamento, tra cui la difesa della stabilità del risparmio, impedendo che si rafforzasse furbescamente, con la nomina di un economista euroscettico, il tentativo – non dichiarato nei programmi elettorali o nel cosiddetto contratto di governo – di indebolire la presenza dell’Italia in Europa e sui mercati, che finanziano l’altissimo debito nostrano.Tendenze e tentativi descritti perfino in testi pubblicati, erano cresciuti fino al punto da delineare sotterranei scenari di fuoriuscita dall’euro. Da attuare clandestinamente in un weekend, mettendo in conto perfino un probabile default italiano! Ed è politicamente paradossale che il M5S, nemico dichiarato della partitocrazia, accusi ora Mattarella di non essersi piegato a una imposizione partitica. Se avesse accettato quello che si era venuto configurando come un inaccettabile diktat (accompagnato da Tweet e dichiarazioni pubbliche) avrebbe segnato la fine della autonoma capacità di nomina sancita nella Carta fondamentale e indebolito enormemente la Presidenza della repubblica. In quel caso rendendosi responsabile, forse, di attentato alla Costituzione. Queste le vere poste in gioco, altro che le narrazioni partigiane! La sua volontà, anche verso la fine, di aiutare la composizione del nuovo governo, è comprovata del resto dalla sua disponibilità a nominare un esponente politico all’economia (si era parlato di Giorgetti).
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L’ignobile canea scatenata dalla Lega e dal M5S- fino alle risibili richieste di messa in stato di accusa – riportano alle verità nascoste e indicibili di questa vicenda. La prima delle quali è che, tra Salvini e Di Maio, non vi è stata mai vera unità di intenti. Di Maio, infatti, a giudicare dai fatti, ha perseguito davvero ogni possibilità di formare un governo. E in nome di questo ha sacrificato alcuni iniziali punti fermi. Fino ad andare a rimorchio di Salvini. Il leader leghista, invece, con ogni probabilità – e come molti osservatori hanno sospettato – ha perseguito con lucida perseveranza l’abile ma pericolosissimo disegno di riandare alle urne. Per incrementare ulteriormente il suo bottino elettorale. E coronare la sua leadership nel centro-destra. E dettare legge in un futuro Parlamento a trazione estremista!
Ora ci si avvia – fatalmente, e a meno di scenari ancora più nefasti – verso una sorta di scontro all’ok corral tra europeisti ed euroscettici. In cui probabilmente sarà ancora una volta la voce delle piazze, strumentalizzate e incendiate da nuovi Masaniello nazionalisti e protezionisti, a spararle più grosse. Ci sarà ancora spazio per moderazione e ragionevolezza ? Francamente, c’è da dubitarne!
di Erio Matteo edito dal Quotidiano del Sud